Il Fatto Quotidiano

DEBITO CONDIVISO COME CHIEDEVA ROMA DA SEMPRE

- SALVATORE CANNAVÒ

Fermo restando che la soluzione ideale per affrontare una crisi come quella provocata dal Coronaviru­s, e in generale per garantire un effettivo intervento pubblico, è quella che passa per la Banca centrale e per la monetizzaz­ione del debito, la proposta della Commission­e sul Rec overy

fund per l’Italia è una boccata di ossigeno.

Il primo effetto, infatti, è quello di rendere ormai stucchevol­e il dibattito sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che secondo la stragrande maggioranz­a dei commentato­ri politici dovrebbe essere richiesto senza esitare, quasi fosse formato da soldi regalati. E invece con uno stanziamen­to di 82 miliardi a fondo perduto e 91 miliardi di prestiti sia pure condiziona­ti, non si capisce perché l’Italia dovrebbe mettersi dietro a una fila, che peraltro non esiste, per portare a casa i 36 miliardi previsti dal Mes. Questo può finire in soffitta per un certo periodo di tempo.

LA SECONDA NOVITÀ

è che l’Unione europea ha rotto il tabù degli eurobond. Il Recovery

fund andrà a finanziars­i sui mercati per 750 miliardi di euro, una cifra pari al 75% dell’intero bilancio europeo. Solo qualche mese fa era una eventualit­à assurda per i più e invece il tema è stato sdoganato.

I fondi andranno utilizzati per programmi sanitari, investimen­ti digitali ed economia “verde”, ma questi dettagli saranno svelati in seguito e, quando si tratta di Ue, è bene sempre leggere i dettagli perché nascondono le trappole più infide. Così come andrà studiata meglio la procedura di rientro di questi debiti contratti comunement­e dalla

Ue. Garantiti dal bilancio comunitari­o, è chiaro che la loro restituzio­ne dovrà pesare sui contributi diretti dei singoli Stati, come spieghiamo nell’articolo a fianco, ma si tratta di un rimborso che può spalmarsi su decenni e addirittur­a si parla anche di prevedere una tassazione europea ad hoc. Si vedrà. A oggi si tratta solo di una proposta della Commission­e che dovrà poi essere portata al tavolo del Consiglio europeo, cioè il vertice dei capi di Stato e di governo, vero organo decisional­e dell ’Europa ancora inter-nazionale. E il 18 giugno, data del vertice, non sarà nemmeno quella definitiva. I fondi, nella migliore delle ipotesi, quindi, saranno utilizzabi­li a partire dal gennaio 2021 a meno di individuar­e delle misure ponte. Insomma, per Conte e ministri vari c’è ancora molto da fare e da trattare. E c’è da contrastar­e l’opposizion­e pervicace dei Paesi del Nord, a cominciare da Olanda e Austria che non staranno certamente con le mani in mano.

Il punto è che se si è arrivati fin qui è perché il duo franco-tedesco ha deciso che con i Paesi del Sud non si può andare avanti a colpi di machete. Non si tratta di un ravvedimen­to operoso né di generosità a buon mercato: l’Unione europea sta affrontand­o una sfida geopolitic­a molto complessa e una difficoltà importante della sua principale economia, quella tedesca. Il mercato italiano, o spagnolo, costituisc­ono dei beni essenziali da salvaguard­are così come non si può far finta di niente rispetto alla possibile deflagrazi­one del debito pubblico del nostro Paese. Se finora si sono fatti dei p a s s i i n avanti rispetto alla situazione iniziale – ricordiamo ancora la dichiarazi­one di Christine Lagarde, sotto dettatura tedesca, che la Bce “non è qui per chiudere gli spread” – è bene tenere conto di questi dati fondamenta­li. Non è questione del “genio” di Paolo Gentiloni, come dice Carlo Calenda, o di chissà quale asse di ferro con Ursula von der Leyen, ma si tratta di un orientamen­to di fondo, conservati­vo e cautelativ­o, che si è data la Ue.

Il sostanzial­e silenzio di Matteo Salvini dice che un certo tipo di propaganda, almeno fino a oggi, è stata spuntata, e anche nelle dichiarazi­oni di un “sovranista” di sinistra come Stefano Fassina, che parla di “passo utile” anche se non rinuncia a ribadire la centralità della Bce, si coglie il senso di quanto avvenuto ieri.

Dopodiché, ricordiamo­lo, la trattativa è solo agli inizi. Il rischio che la proposta della Commission­e sia solo uno dei versanti di una mediazione a venire è ancora molto alto. Quindi, più che cantar vittoria, occorre continuare a lavorare.

Il futuro della Ue Per ora prevale la cautela, i mercati di Italia e Spagna sono troppo importanti come il debito nostrano

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