La nemesi di Sala
In quest’epoca di pazzi ci mancavano i sindaci supereroi in posa assertivo-volitiva sul tetto del Duomo, in piedi tra le guglie con mascherina e fascia tricolore in suggestivo pendant con le frecce omonime che gli saettano sopra la testa. “‘Patria’ deriva dall’aggettivo patrius, paterno. E così che mi piace pensarla”, recita la didascalia dell’intenso ritratto di Beppe Sala affidato a Instagram dopo chissà quante ore di riunioni di comunicatori e imagologi, ed è così peraltro che prescrive il dizionario etimologico, laddove la terra dei padri è chiaramente non tanto l’Italia, ormai ridotta a una trapunta di regionalismi villani, quanto Milano stessa, sineddoche, anzi epitome dell’Italia migliore.
Teniamo d’occhio da tempo la retorica di Sala: gagliarda sotto Expo, efficientista, proiettata al futuro, tranne che nella retrodatazione dei verbali (“processo Piastra”, condanna per falso ideologico e materiale), sotto Coronavirus s’è fatta schizoide, dissociata, stolida come la mosca intrappolata nel bicchiere. Come proteggere i cittadini e al contempo assicurare ad essi la continuazione del loro “stile di vita”, cioè l’esercizio del diritto all’apericena, forma locale del diritto globale alla felicità?
L’imagologia di Milano la riassunse un video commissionato da 100 “brand della ristorazione” che Sala rilanciò giocondo il 27 marzo, mentre si accendevano i focolai di Codogno, Bergamo, Nembro e Alzano Lombardo: le scritte “facciamo miracoli ogni giorno” e “abbiamo ritmi impensabili” (come fossero pregi) sottolineavano frame nervosi e patinati dell’alacre capitale morale, illuminata dai led e dai catarifrangenti delle bici dei rider a cottimo. Oggi Sala, dopo 16mila morti lombardi, notifica: “Sulla movida Milano ha un problema, capisco il bisogno di socialità ma il rischio è molto elevato… da stasera più pattuglie della Polizia Locale e chiusura dei locali che non rispettano le regole”. Sembra un secolo fa, quando la movida la faceva lui: sempre 27 febbraio, una foto filtrata vinta
ge lo ritrae insieme a Alessandro Cattelan con una birra in mano
(orli dei boccali pericolosamente sfiorantisi): “Un’altra dura giornata di lavoro… #finalmenteaperitivo#milanononsiferma”. Milano poi si dovette fermare. Adesso è un casino riacchiappare quella retorica e riallinearla al rischio verificato dei contagi che scendono ma poco, ed è di nuovo Milano passo carrabile, Milano divieto di sosta, Milano retorizzata sotto steroidi. Altro che Patria: principio universale del provinciale è scimmiottare chi sta avanti, “la grande area ‘ car-free’ di Londra, i ‘super isolati’ pedonali di Barcellona, le piste ciclabili di Parigi che diventa ‘città in 15 minuti’, fino alle ‘ slow
streets ’ di Los Angeles”, tutte priorità in una regione con 16 mila morti e una Sanità pubblica umiliata, perché “questo è il destino di Milano, sfuggire a una visione chiusa e sapersi grande città solidale e internazionale”. Intanto martedì c’è stato il primo incidente sulla nuova pista ciclabile.
Il sindaco aspirazionale d’Italia - che ogni giorno s’affaccia all’Angelus dei s ocia l cingue ttando “Buongiorno Milano, da Palazzo Marino”, “BuongiornoMilano, oggi dall’Arena Civica”, come Robin Williams in Good morning, Viet
nam – ieri ha minacciato i presidenti di Regione del Sud che chiedono una “patente di immunità” ai vacanzieri del Nord: “Quando deciderò dove andare per un weekend o per una vacanza, me ne ricorderò”, cioè li minaccia di fare esattamente quello che vogliono che lui faccia: starsene a casa sua, villeggiare a Gallarate.
Sala si sente isolato, e non è lo splendido isolamento di Los Angeles, ma il contrappasso del razzismo intercity, la nemesi del “non si affitta ai meridionali” giocata sulle IgG, la livella del Covid, cioè per una volta la vittoria della realtà, perfino biologica, sul potere dell’imagologia
IL SINDACO DA MILANO QUASI MINACCIA IL SUD:
“MI RICORDERÒ DEL VOSTRO AUT AUT”