Parlate coi Regeni
“È IL FUOCO AMICO che ci fa male. Abbiamo fiducia in Fico: ci ha ribadito che sta con noi e chi ha chiesto come stiamo. È l’unico uomo di Stato che ci ha chiamato, perché ha pensato che noi possiamo anche stare male”.
SAPPIANO GLI “UOMINI DI STATO” che ha turbato anche noi il “fuoco amico” che ha ferito i genitori di Giulio Regeni, dopo la vendita dell’Italia al governo egiziano del generale al-Sisi di due navi da guerra per il valore di 1,2 miliardi dollari. Noi, come tutti coloro che venerdì sera li hanno visti e sentiti su La7 esprimere un giudizio durissimo sulle decisioni del governo italiano. Senza venire meno a quella grande dignità dimostrata dal 3 febbraio 2016, quando il corpo martoriato del figlio fu rinvenuto al Cairo, in un fosso non lontano dalla prigione dei servizi segreti egiziani. Sull’evidenza di questa triste (e forse necessaria) ragione di Stato, che non impedisce di fare affari con un regime che, nella migliore delle ipotesi, non ha fatto altro che dare copertura agli assassini di un giovane uomo di 28 anni, ci sarebbe davvero poco da aggiungere. Preferiamo soffermarci sulla telefonata del presidente della Camera, Roberto Fico, che ha sentito il bisogno di chiedere alla famiglia Regeni come stavano, “pensando che anche noi possiamo stare male”. Sì, perché esiste il “caso Regeni” (espressione “odiosa e distaccata”, ha scritto giustamente “il manifesto”) con mille implicazioni politiche, giuridiche, economiche, morali e di rapporti internazionali. E poi esistono Claudia e Paolo, e tutte le persone che volevano bene a quel figlio così generoso e brillante. Claudia e Paolo con le loro ferite che niente e nessuno potrà mai rimarginare. E sulle quali in questi anni è stato versato continuamente del sale. Senza nulla togliere alle persone e alle istituzioni che hanno cercato di fare ciò che potevano fare. Per arrivare a quella invocata verità (che ormai è sotto gli occhi di tutti), e a quella giustizia (che appare sempre più irraggiungibile). Le due parole, verità e giustizia, stampate sul manifesto giallo con il ritratto sorridente di Giulio Regeni. Per carità, qui non intendiamo dare lezioni a nessuno. Soprattutto se e quando coloro che hanno responsabilità di governo sono costretti a soppesare determinate scelte, ancorché impietose. Senza dimenticare che sull’altro piatto della bilancia c’è il lavoro di migliaia di operai e un’azienda pubblica come Fincantieri che sulle commesse, anche quelle politicamente inopportune, basa presente e futuro. La domanda è un’altra. Come mai il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e un esponente di primo piano dei 5Stelle come Alessandro Di Battista (parliamo delle figure più autorevoli del Movimento che di parole sulla morte di Giulio ne ha spese tante), non hanno ancora trovato il tempo per chiamare Claudio e Paola Regeni (pronti a prenderne atto con favore se, nel frattempo, lo avessero fatto come lo ha già fatto Roberto Fico)? Magari soltanto per spiegare una scelta difficile? O per chiedere semplicemente: come state? Sapendo che stanno molto male.