Cig finita in estate: il nodo dei soldi per allungarla
Con l’anticipo delle ultime settimane della cassa “Covid” si arriva ad agosto e il fondo Sure non sarà pronto. C’è il pericolo licenziamenti
Forse Roberto Gualtieri avrà modo di pentirsi di quel “nessuno perderà il lavoro” pronunciato a marzo e non solo perché è una frase falsa già oggi (solo in aprile gli occupati sono calati di 274 mila unità), ma soprattutto perché il peggio deve ancora venire. Finora, ed è una scelta razionale, il governo ha puntato a salvaguardare il lavoro soprattutto con due provvedimenti: la Cassa integrazione con causale “Covid-19”, concessa praticamente a chiunque, e il blocco dei licenziamenti che scadrà, salvo rinnovi, il 17 agosto. L’idea è, sostanzialmente, aspettare e vedere come vanno le cose.
QUAL È IL PROBLEMA?
L’intensità del tracollo è stata letteralmente senza precedenti e la ripresa non pare al momento istantanea. Nel solo mese di aprile, com’è noto, sono state autorizzate lo stesso numero di ore di cassa integrazione dell ’ intero annus horribilis
2009 (il Pil crollò del 5,3%). Il decreto Rilancio ha poi esteso la Cig “Covid” per altre 9 settimane portando il totale a 18: le prime 14 settimane da “consumare” subito e le ultime quattro a partire da settembre. Ora però, così hanno annunciato i ministri dell’Economia e del Lavoro Gualtieri e Catalfo, il governo pensa di correggersi e “anticipare le ulteriori 4 settimane previste”.
Chi ha iniziato la cassa a marzo, infatti, ha già esaurito i tre mesi e mezzo autorizzati finora (ammesso e non concesso che i soldi siano arrivati): altre quattro settimane sono una boccata d’ossigeno, ma non risolvono il problema. Tradotto: spegnere un Paese è facile, riaccenderlo no e moltissime imprese avranno finito la Cig tra agosto e settembre. Senza un ulteriore rinnovo, sarà impossibile anche mantenere in vigore il blocco dei licenziamenti: “Senza cassa è a rischio di incostituzionalità”, ha già avvertito ieri sul Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria, Riccardo Del Punta, ordinario di Diritto del lavoro a Firenze.
Insomma, il rischio è che in autunno la crisi si scarichi sull’occupazione in misura anche maggiore di quanto avrà fatto nel frattempo (precari, lavoratori a termine, in nero e stagionali sono già oggi abbandonati alla tempesta). Per dare un’idea della misura del fenomeno: congelato per quanto possibile il livello degli occupati via Cig e blocco dei licenziamenti, l’Istat ha calcolato che il crollo delle ore lavorate ad aprile corrisponde a un milione e mezzo di “unità di lavoro equivalenti”, diciamo di occupati a tempo pieno. Un milione e mezzo su un totale di 24,1 milioni stimato nel primo trimestre 2020: un crollo di oltre il 6% in un amen, una cosa mai vista. A fine maggio Bankitalia ha provato a fare un suo conto in teste, cioè su quanti rischiano il posto di lavoro: quasi 900mila è la risposta che va considerata tenendo presente che – seppur si tratti di stime e medie – parliamo di centinaia di migliaia di persone, di vite, di famiglie.
Insomma, servirà allungare questa forma di cassa integrazione generalizzata, anche col rischio – che assumiamo come un dato di fatto – che qualcuno, pur non avendone bisogno, se ne approfitti per abbassare il costo del lavoro. Al ministero del Tesoro aspettano di capire solo quale sarà il cosiddetto “tirag gio” di questi mesi, cioè quanta cassa sarà effettivamente usata rispetto alle “prenotazioni” iniziali (il picco del 2009 fu quasi il 70%, stavolta si rischia di andare sopra).
SOLO COI DATI FINALI si potrà fare una stima sensata per l’autunno: certo non saremo ai 12 miliardi al mese del lockdown, ma il costo rischia di essere alto, specie dopo due decreti che hanno impiegato 70 miliardi in deficit e tenendo conto che serviranno più risorse anche sui sussidi di disoccupazione. Com’è noto il governo Conte è intenzionato a usare per finanziare il comparto lavoro i prestiti del fondo europeo “Sure”. Problema: non è affatto pronto e probabilmente non sarà della dimensione annunciata (100 miliardi).
Il meccanismo prevede infatti che gli Stati versino garanzie (3 miliardi per l’Italia) che poi il fondo userà per raccogliere altri soldi sul mercato: ci vorranno mesi e nel 2020 si partirà con cifre basse, senza contare che gli importi totali potrebbero essere modesti se gli Stati non interessati a “Sure” non verseranno le loro garanzie (l’Italia vorrebbe 20 miliardi, potrebbe doversi accontentare di molto meno). Tradotto: l’annunciata ulteriore “manovrina” rischia di non essere tanto “ina” e di doversi concentrare soprattutto sull’emergenza lavoro, sperando che quel che serve sia solo qualche mese di tempo.
MANOVRINA? IL MEF VUOL VEDERE I DATI, MA SERVONO ALTRI SOLDI