Il Fatto Quotidiano

Movimento 5Stallo

- » Marco Travaglio

Capire che succede e succederà nei 5Stelle è più difficile che capire cosa vuole il Pd e a cosa serve Salvini. Perché il M5S non è più un movimento e non è ancora un partito. Ha un capo provvisori­o poco carismatic­o e un fondatore carismatic­o che ogni tanto si ricorda di esserlo e molti aspiranti leader che si ritrovano a essere molto meno popolari del premier che hanno indicato due volte in due anni, ma che non è neppure iscritto. Comunque, quando una forza politica litiga sulle idee e non sulle poltrone, è sempre un buon segno: di vita. E, checché se ne dica, la rissa innescata da Di Battista con la proposta di “congresso o assemblea costituent­e” non riguarda le poltrone. Il pasionario pentastell­ato ha tanti difetti, ma non quello di inseguire cadreghe, avendo passato gli ultimi tre anni a scansarle: no alla ricandidat­ura, no a un ministero nel governo gialloverd­e e in quello giallorosa. E ora, diversamen­te da altri (e altre) big che tramano contro il Conte-2 per agguantare o riagguanta­re un ministero, è diventato più contiano di tanti finti contiani, ben conscio del valore aggiunto che Conte rappresent­a per il M5S (vedi sondaggi) e soprattutt­o dell’orrore di ciò che verrebbe dopo: un governissi­mo di larghe intese & imprese per arraffare la cascata di miliardi che sta per piovere dall’Ue.

Di Battista però sconta la fama che lo precede: quella di movimentis­ta sfasciacar­rozze, creata dai retrosceni­sti esterni e dai rivali interni, che però lui negli ultimi anni ha fatto troppo poco per smentire. Domenica poi, rispondend­o all’Annunziata sull’ipotesi di Conte leader 5Stelle, ha detto un’ovvietà (“Conte prima dovrebbe iscriversi”), ma ha aggiunto: “Si vota e vediamo chi vince”. E questa frase ha mandato su tutte le furie Grillo, che l’ha vista come una sfida a Conte e come la negazione di ciò che il fondatore ripete ai suoi da settimane: la fase del capo politico con pieni poteri è superata, dunque niente conta all’O.k. Corral che destabiliz­zerebbe il governo e dilaniereb­be i 5Stelle; molto meglio una segreteria allargata a tutte le anime, come il direttorio che l’estate scorsa decise con lui la svolta giallorosa. Soluzione a cui lavorano Di Maio, Fico, Taverna e altri. Questa è la posta in gioco, non certo il partito di Conte o la corsa di Di Battista verso la scissione o altre ipotesi fantascien­tifiche evocate (anzi auspicate) dai media nel fumettone quotidiano su un movimento mai capito né accettato (vedi la bufala dei soldi da Maduro). Grillo ha ragione da vendere col sostegno a Conte e l’allergia al capo politico unico. Ma Dibba non sbaglia quando denuncia l’a f a si a programmat­ica e identitari­a del M5S, che non è più quello di prima, ma non è mai diventato qualcos’altro.

Ma, per rendersi credibile, il pasionario dovrebbe chiarire di non voler fare il capo politico con corse solitarie e conte fratricide e di essere disponibil­e a entrare in una segreteria collegiale che progetti il M5S del futuro. L’identità nebulosa non è un problema solo dei 5Stelle. Che cos’è il Pd? Boh. Cosa vuole la Lega, a parte le sparate contro gli immigrati, le tasse, l’Europa e a favore degli evasori? Boh. E FI? Boh. Il Covid ha cambiato il mondo e i partiti balbettano. Tant’è che il premier, stufo di chiedere proposte e di ricevere risme di fogli bianchi, mette su comitati, task force e Stati generali per riempire il vuoto della politica e sfuggire all’accusa di far tutto da solo. I 5Stelle, ambientali­sti e legalitari della prima ora, cultori dei “beni comuni” e del “pubblico” contro la privatizza­zione del welfare, partono avvantaggi­ati nella nuova fase. Ma, assorbiti dalla routine di governo e dalle beghe intestine e incapaci di formare una classe dirigente, non se ne accorgono.

La battaglia sul rinnovamen­to della Rai l’hanno persa perché (a parte rare eccezioni come Salini e Freccero) non avevano nessun soldato autorevole per combatterl­a, e si sono ridotti a riciclare vecchie banderuole. E la bandiera della discontinu­ità all’E ni l’hanno ammainata perché, al momento di indicare un successore credibile dell’eterno Descalzi che passasse al vaglio della diplomazia e del Quirinale, non avevano un manager adeguato nel settore energia. Ora altre sfide cruciali arriverann­o al dunque e nessuno sa come la pensino su Mes, decreti Sicurezza e nuove grandi opere (alcune utilissime, altre demenziali e criminogen­e). E alle Regionali di settembre andranno in ordine sparso: ora col Pd (in Liguria e forse nelleMarch­e), ora contro il Pd (in Campania, e ci mancherebb­e: il Pd riciccia De Luca), ma senza una strategia. Che dovrebbe includere le Comunali del 2021: se il centrosini­stra vuole davvero un’intesa organica col M5S,dovrebbe piantarla di far la guerra a Raggi e Appendino ( peraltro senza uno straccio di candidato spendibile), magari in cambio del sostegno a figure tutt’altro che impresenta­bili come Emiliano in Puglia e altri buoni amministra­tori. Tanto alle elezioni politiche, speriamo nel 2023 o comunque il più tardi possibile, l’unico nome utile per battere i cazzari sarà quello di Conte candidato premier della coalizione giallorosa, non quelli dei leader dei partiti. Ce n’è abbastanza perché chi ha la testa sul collo si metta subito intorno a un tavolo, lasci a casa i soliti sospetti, le nostalgie del tempo che fu e i vecchi rancori, sgombri il campo dalle corse solitarie, formi un vertice di 4-5 persone e metta nero su bianco ciò che solo interessa ai cittadini: le nuove cose da fare.

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