Csm, più membri laici
Caro direttore, giorni fa ho sentito qualcuno dire che, in fin dei conti, Palamara è un “semplice sostituto della Procura di Roma”. E ho subito pensato al Craxi che, nella primavera del 1992, definiva Mario Chiesa un “mariuolo” isolato. Ma noi tutti sappiamo benissimo che le gesta di Palamara sono la punta di un iceberg. Che l’uomo non era isolato. Non solo perché è stato eletto, da ampie maggioranze di magistrati, prima presidente dell’anm e poi al Csm. Ma soprattutto perché Palamara non parla davanti a uno specchio: parla, tratta, organizza nomine con altri magistrati e politici che parlano la sua stessa lingua.
Davanti a questo scandalo la magistratura è timida e impaurita: “China su se stessa”, ha detto il presidente Mattarella. Una magistratura – penso io – ormai incapace di “autoriformarsi”. Per questo il problema non è più, come pensavo 20 anni fa, “il sistema delle correnti dei magistrati”. Il problema sono i magistrati: sono loro, non i politici, ad aver eletto al Csm gli autori di queste distorsioni del governo delle carriere dei magistrati. Se una magistratura di alto livello professionale e tecnico, come la nostra, genera, con l’elezione dei propri rappresentanti, un sistema come questo, vuol dire che il principio è sbagliato: sul banco dell’accusa va messo l’autogoverno. L’idea di risolvere tutto con un nuovo sistema di elezione dei membri togati del Csm è fumo negli occhi. Negli ultimi 30 anni il sistema elettorale è cambiato tre volte: sempre con l’intento di “diminuire il peso delle correnti”. Questi sono i risultati. E tu sai bene che il sistema elettorale vigente non prevede, sulla scheda, simboli o nomi delle correnti. Formalmente, ogni magistrato può essere eletto dai suoi colleghi.
Ma le correnti (e gli accordi tra loro) impongono i candidati. Quando gli elettori sono poche migliaia di persone (com’è per l’elezione del
Csm) le cordate di gruppi organizzati possono controllare il voto anche senza compilare delle liste. Un esempio: nel Csm ci sono quattro seggi riservati ai pubblici ministeri. Ebbene, sai quanti erano, alle ultime elezioni, i candidati per questi seggi? Quattro!
Dobbiamo difendere l’indipendenza dei magistrati. Questa è la nostra comune preoccupazione. Che sempre ci assilla. Perché sappiamo che un magistrato non indipendente non è un vero magistrato. Abbiamo sempre pensato che l’autogoverno fosse un avamposto di tutela dell’indipendenza. Ho scritto tre libri per sostenere questa tesi (dicendo anche, però, che essere indipendenti non può significare essere completamente irresponsabili). Ma i fatti hanno la testa dura. E i fatti di questi ultimi decenni ci hanno fatto capire che oggi l’autogoverno è il nemico principale dell’indipendenza. Oggi i magistrati italiani sono indipendenti da tutto e da tutti tranne che dai capi delle loro correnti. I valori cambiano con la verifica della Storia. E possono degenerare. È sempre accaduto. L’amor di patria risorgimentale degenerò nel nazionalismo che umiliava le altre patrie. Così, il volto limpido dell’autogoverno dei magistrati, voluto dai Costituenti, si è trasformato nel viso sfigurato di una arrogante irresponsabilità corporativa. La Storia ci ha insegnato che una corporazione che non conosce mai verifiche ( sulla deontologia, sulla professionalità, sulle competenze) da parte di soggetti esterni alla corporazione medesima, è destinata a degenerare. Penso che se i Costituenti oggi potessero parlare, ci direbbero: “scusate, ci siamo sbagliati; non avevamo capito che la Giustizia è cosa troppo preziosa per lasciarla in mano soltanto ai magistrati”.
L’unico modo per rafforzare l’indipendenza dei magistrati è una modifica costituzionale che riequilibri il rapporto tra membri togati e laici del Csm: non 2/3 e 1/3, com’è ora. Il rapporto potrebbe essere ribaltato. O, se si vuole essere più cauti, si potrebbe recuperare una vecchia proposta del professor Glauco Giostra: metà laici e metà togati. Con l’aggiunta che i laici (professori e avvocati di chiara fama) dovrebbero essere eletti solo in parte dal Parlamento, ma anche dal presidente della Repubblica e, magari, dalla Corte costituzionale. Chi dice che questo sistema minerebbe l’indipendenza dei magistrati, mi deve spiegare perché un membro del Csm eletto da Mattarella darebbe meno garanzia di imparzialità e correttezza di uno eletto dal sistema correntizio raccontato da Palamara.
Quando sento i leader delle attuali correnti invocare pulizia e una “rifondazione morale” mi viene in mente la storiella dell ’ambasciatore tedesco in Francia che, all’expo di Parigi del ’37 in cui era esposta Guernica, incontra Picasso. L’a mb asciatore, guardando il quadro, chiede: “Questo l’avete fatto voi?”. E Picasso risponde: “No. L’avete fatto voi”.
Sento in giro, tra i magistrati, la paura delle conseguenze dello scandalo Palamara. Io penso invece che dovremmo essere grati per questo scandalo che ha disvelato il marciume esistente. E trarne le conseguenze. Non bastano i pannicelli caldi. Tu, caro Direttore, che amavi citare L’elogio della ghigliottina di Gobetti, non dovresti lasciarti incantare dalle stanche litanie su un’autoriforma della magistratura promessa da quarant’anni. Penso che anche il tuo Montanelli (che pure amava più Longanesi che Gobetti) sarebbe oggi d’accordo sul fatto che mai come ora abbiamo proprio bisogno di un’intransigenza gobettiana: “Chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, perché si possa veder chiaro”. * Procuratore aggiunto
a Torino