“Scacchi razzisti perché il bianco muove per primo”
Gli scacchi sono razzisti solo perché muove il bianco prima del nero? La provocazione arriva da Radio Abc di Sydney che l’ha chiesto all’economista John Adams. Nel 2015 guidava la rappresentativa australiana. Lui l’ha subito twittato il 23 giugno e la notizia è divenuta virale. E ha scatenato risentite reazioni. Per Anatolij Karpov e Garry Kasparov, i più grandi scacchisti degli ultimi decenni, è una solenne corbelleria, anzi, “una follia”. Difesa peraltro scontata: non si sputa sul piatto che ti ha arricchito. Epperò, a voler inzigare, spesso stereotipi razzisti e pregiudizi si annidano subdolamente nella nostra cultura. Figuriamoci negli scacchi che esistono da 26 secoli, gioco assurto a simbologia di potere e intelligenza, raffinate strategie e feroci scontri virtuali, al punto da divenire metafora del nostro vivere (e morire). Semmai, hanno denunciato alcune femministe, gli scacchi sono sessisti: “La regina si fa il mazzo mentre il re non fa un cazzo”, era il loro slogan. E tuttavia, se gli scacchi evocano il razzismo, perché non cambiare i colori dei pezzi? Verde al posto del bianco (molto ambientalista) e rosso, al posto del nero, cioè il colore del sangue, dell’ira, della ribellione. In ogni caso, chi muove per primo ha statisticamente più probabilità di vittoria. Comunque, è un déjà-vu. L’anno scorso, per la giornata Onu dedicata all’eliminazione delle discriminazioni, il norvegese Magnus Carlsen allenato da Kasparov, e l’indiano Anish Giri hanno giocato invertendo la regola: ha mosso il nero per primo. Ha vinto, come sempre, il migliore.