Il Fatto Quotidiano

Liti di commissari e insabbiame­nti: il Mose parte così

Venezia e l’incompiuta Senza padri Dai soldi spesi al conflitto che oppone la supercommi­ssaria Spitz agli amministra­tori straordina­ri del Consorzio. Il ruolo dei poteri forti e dei governi “Sbagliato ma va finito”

- » Giuseppe Pietrobell­i

“L’architetto Elisabe tta Sp i tz , C o m m i ssario Straordina­rio per il Mose, e la dott.ssa Cinzia Zincone, Provvedito­re alle Opere pubbliche del Triveneto, hanno il piacere di invitarla al Primo test di sollevamen­to in contempora­nea delle quattro barriere del Mose”. Con una precisazio­ne: “Venerdì 10 luglio, ore 10, alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, prof. Giuseppe Conte, e della Ministra delle Infrastrut­ture On. Paola De Micheli”.

ALCUNI GIORNI FA,

nella sede del Consorzio Venezia Nuova all’arsenale, i due amministra­tori straordina­ri Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola hanno aperto la lettera con visibile stupore. “Ma il Mose non siamo noi?” devono essersi chiesti, visto che da cinque anni gestiscono il Consorzio, travolto dallo scandalo nel 2014, nel tentativo di impedire che 6 miliardi di acciaio e cemento restino inutilizza­ti in fondo al mare. Eppure l’invito arriva dalla super-commissari­o nominata a novembre e dal Provvedito­re, braccio operativo del Ministero. Segno dei tempi. Il Consorzio, ora gestito da mano pubblica dopo il fallimento morale e tecnico delle imprese private che lo avevano creato nel lontanissi­mo 1982, è destinato a essere superato. Lo si è capito in questi mesi di continuo braccio di ferro tra la coppia Spitz-zincone e la gestione straordina­ria. Perché è importante che il Mose si alzi, Venezia pensi di avere una difesa a mare e si inizi a progettare la gestione operativa, una torta da cento milioni di euro all’anno.

In realtà la grande opera idraulica, non ancora realizzata 17 anni dopo la prima pietra, non sarà finita quando venerdì le 78 paratoie usciranno dal mare, durante una prova-passerella che richiamerà in Lagu

na il bel mondo della politica. È come Lazzaro, che si alza, ma ancora non cammina. Un fantasma resuscitat­o. Per vederlo in funzione bisogna attendere almeno la fine del 2021.

IL MOSENON

ancora nato, nonostante una gestazione di lustri e un costo inusitato, è comunque già orfano. Nel senso che non ha mai avuto un padre. Se anche avesse ambito a esserlo l’ingegnere Giovanni Mazzacurat­i, il gran ciambellan­o delle tangenti, non si può dire che egli lo abbia coccolato come un figlio prediletto. Lo ha soprattutt­o utilizzato. Ma è difficile trovare anche padri politici. I Cinquestel­le (ministro Federico D’incà) sono rassegnati nel dire che ormai va

da “Sotto il segno del Mose”

finito, ma che non avrebbero mai approvato un’opera del genere. Il Mose, per loro, è una specie di bastardo. Nel centrosini­stra bisognereb­be cercare nella notte dei tempi (ministro Antonio Di Pietro e premier Romano Prodi, 1998) un primo via libera, seppur contraddit­torio, perché le resistenze ambientali­ste erano forti. Eppure un anno fa lo stesso Prodi, che nel 2006 disse di no a tutte le proposte alternativ­e di Massimo Cacciari, ha commentato: “Il Mose dovrebbe essere finito da anni”. La realtà è che il lavoro sotto traccia di chi lo voleva è sempre stato trasversal­e. Il centrodest­ra ci ha messo il cappello nel maggio 2003 quando Silvio Berlusconi pose la prima pietra, con il corollario di ministri come Bossi, Lunardi, Matteoli (indagato per le bonifiche) e il governator­e Giancarlo Galan (arrestato).

Per questo il Mose non ha un padre, ma tanti padrini (e due madrine). È il frutto di una preoccupaz­ione universale e autentica per Venezia, ma anche dell’italia che arraffa, lucra, guarda al proprio tornaconto. E trasforma un bisogno collettivo in tante opportunit­à personali. Altrimenti non sarebbe finita con la grande retata del 2014, decine di arresti, controllat­i e controllor­i in manette, politici accusati di corruzione. C’erano perfino un generalone della Finanza, un magistrato alle acque, un giudice della Corte dei Conti, nella contabilit­à dell’intrallazz­o che è arrivata a 22 milioni di tangenti e di uno scialo pubblico che ha sfiorato il miliardo di euro. Di sicuro ha avuto un nemico, l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che invocava altre soluzioni: interventi sulle fondamenta, riequilibr­io della Laguna, rispetto dell’ambiente. Nel 2006 fece mettere a verbale, in Comitatone: “È un’opera arrischiat­issima, dove non c’è affatto unanimità della comunità scientific­a. Io non mi prenderei mai la responsabi­lità di andare avanti in una situazione di tale criticità e problemati­cità, padrone il governo di farlo”. E Prodi lo fece.

Il filosofo finì sotto il tiro dei poteri economici, come hanno ricordato Giovanni Benzoni e Salvatore Scaglione in un prezioso libro appena pubblicato,

Sotto il segno delmose (La Toletta). Ricordano grandi firme di Repubblica , Corriere della

Sera estampasch­ierate a cantare “inni alle meraviglie della tecnologia vincente in laguna, alla bellezza ‘ l eona rdes ca’ dell’opera, con la preoccupaz­ione continua di non lasciarsi ingabbiare da ‘quelli del non fare’. Molti articoli, letti oggi, appaiono di un servilismo imbarazzan­te”. Il che aveva un senso, commentano i due autori: “Luigi Zanda era presidente del Consorzio e consiglier­e del gruppo Repubblica-espresso. Impregilo del Gruppo Agnelli era una delle maggiori imprese del Consorzio, e Agnelli era anche comproprie­tario del Corriere e proprietar­io della Stampa”.

Ma in questo ritratto di mass-media ci finisce anche il manife

s to , con Rossana Rossanda che nel fatidico 2006 scriveva: “Chiedo scusa, ma mi importa più il destino dei veneziani, che quello di una garzetta...”.

Quindici anni dopo, i veneziani non hanno ancora il loro salvatore. Nove mesi fa la seconda “acqua alta” di sempre (184 centimetri, la prima fu nel tragico 1966) ha dato una sferzata al progetto, con il governo che ha detto: “I soldi ci sono, adesso finiamolo”. Ma il vero senso d’ansia che si coglie a Venezia non riguarda il movimento meccanico delle paratoie, che sicurament­e – e sabbia permettend­o – si alzeranno, bensì la loro effettiva capacità di fermare le acque. Ma per verificarl­a bisogna ancora aspettare.

Inni alle meraviglie della tecnologia sui giornali, servilismo imbarazzan­te

 ?? FOTO ANSA ?? Le prove
Il 31 maggio scorso alle bocche di porto di Chioggia e di Malamocco
FOTO ANSA Le prove Il 31 maggio scorso alle bocche di porto di Chioggia e di Malamocco
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy