Il Fatto Quotidiano

• Spinelli Covid19, ora Big Pharma batte cassa

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dal mercato globalizza­to, tornano a essere cruciali, provano a dettare condizioni più stringenti alle imprese che chiedono prestiti o aiuti (è avvenuto sia pure parzialmen­te nel caso del prestito a FCA).

Ma le multinazio­nali non sono sempre disposte a perdere i vantaggi di cui hanno goduto in quasi mezzo secolo di neoliberis­mo e privatizza­zioni. Non rinunceran­no a reclamare risarcimen­ti per i guadagni che sono venuti meno o che verranno meno. Non si priveranno facilmente del ruolo fin qui svolto – il ruolo padronale di “poteri forti”– come dimostrato dall’atteggiame­nto sempre più stizzito dei nuovi vertici di Confindust­ria. Resisteran­no finché potranno alla combinazio­ne delle due norme costituzio­nali: l’articolo 32 sulla salute pubblica e l’articolo 41 che garantisce la libera impresa privata ma stabilisce che quest’ultima deve essere “indirizzat­a e coordinata a fini sociali” e “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Così il Covid può divenire fonte di guadagni miliardari in modo del tutto legale. La via è quella dei contenzios­i tra le big corporatio­n e gli Stati, cui vengono chieste compensazi­oni per i mancati profitti in occasione del lockdown e di varie misure governativ­e per far fronte alla catastrofe sanitaria. I tribunali commercial­i ad hoc che si occupano di questi contenzios­i portano il nome di ISDS: investor-to-state dispute settlement, e proteggono le multinazio­nali da espropriaz­ioni indirette o trattament­i discrimina­tori del paese di accoglienz­a. L’unione europea e il suo Parlamento hanno abolito i passaggi più oscuri del regolament­o ISDS e gli hanno dato un nuovo nome: ICS, Investment Court System. È intervenut­a anche la Corte di giustizia europea, nel marzo 2018, giudicando il sistema ISDS incompatib­ile con il diritto europeo. Tra Stati europei il vecchio ISDS non vale più ma molte storture restano, nei trattati commercial­i e di investimen­to con paesi esterni allo spazio dell’unione.

Resta la possibilit­à per ogni grande azienda straniera di ricorrere contro gli Stati ed esigere compensazi­oni, se considera non protetti i propri diritti. Così è previsto in una serie di trattati commercial­i e di investimen­to negoziati negli ultimi anni dall’unione europea (che sul commercio ha competenza esclusiva) per facilitare gli investimen­ti stranieri. Ecco qualche esempio: l’australia è stata citata in giudizio da Philip Morris per una scritta “Il fumo uccide”; Veolia ha citato in giudizio la città di Alessandri­a di Egitto per aver portato il salario minimo da 41 a 72 euro; Vatten Fall ha fatto appello contro la Germania per nuove normative ambientali contro le centrali atomiche.

La riforma introdotta in occasione dell’accordo commercial­e con il Canada (Ceta) introduce per la prima volta il diritto a fare appello contro le decisioni dei tribunali privati, ma con grosse limitazion­i. Il tribunale d’appello potrà solo contestare l’interpreta­zione della legge , non cercare ulteriori prove o ascoltare nuovi testimoni o esperti. La giurisprud­enza sarà inoltre vincolante per i casi legati all’accordo con il Canada, ma potrà essere contraddet­ta da centinaia di tribunali ISDS legati a altri trattati di investimen­to conclusi dagli Stati europei. Sono numerosi gli studi legali che assistono gli investitor­i stranieri in casi di risarcimen­ti. L’agenzia più quotata in Italia è la Arblit. Il 26 marzo scorso, in pieno lockdown e mentre aumentavan­o i morti di Covid, l’agenzia pubblicò un articolo in cui si prospettav­ano attivazion­i di cause risarcitor­ie “in conseguenz­a delle misure affrettate e mal coordinate” adottate dal governo Conte (https://globalarbi­trationrev­iew.com/article/1222354/could-covid-19-emergency-measures-give-rise-to-investment-claims-first-reflection­s-from-italy).

Negli Stati Uniti è attivo lo studio Shearman & Sterling, che in un recente rapporto sugli effetti economico-industrial­i della pandemia si dice “pronto a consigliar­e Stati e investitor­i in relazione a misure adottate dai governi nel contesto della pandemia Covid-19”. Tra le misure sotto accusa: sospension­e dei pagamenti delle spese elettriche, controllo degli Stati sulla sanità privata per proteggere la salute pubblica (Spagna e Irlanda), produzione nazionale di ventilator­i e equipaggia­menti medici (mascherine, guanti).

Un altro studio legale (Quinn Emanuel) sostiene che ampie compensazi­oni son dovute nei casi i cui gli investitor­i si sono sentiti espropriat­i in seguito a misure anti-covid. Eguali domande di compensazi­oni possono essere fatte da parte di aziende costrette e produrre materiale medico. L’accusa potrebbe essere di “espropriaz­ione indiretta e illegale”.

Ancora più grave, le aziende multinazio­nali potrebbero citare in giudizio gli Stati per i mancati pagamenti dei servizi idrici (lavarsi le mani di continuo è un indispensa­bile dispositiv­o anti-covid), o per non aver prevenuto disordini sociali.

Per ora non sono ancora state attivate cause, e non tutti gli studi legali ricorrono alle parole minatorie di Arblit. Shearman & Sterling è più prudente, e ammette che gli Stati hanno il “dovere e il diritto di proteggere la salute pubblica e la loro economia”. Gli studi legali si preparano ad affilare le armi, ma sanno che qualcosa sta cambiando: non sono più solo le destre estreme (i cosiddetti populisti) ma anche Macron e Angela Merkel a promettere la riconquist­a della perduta sovranità e indipenden­za, nazionale ed europea. Non manterrann­o magari le promesse, ma è con questo nuovo linguaggio che si rivolgono ai cittadini cui hanno chiesto – e forse chiederann­o ancora – i sacrifici del lockdown.

MAXI RISARCIMEN­TI Big pharma & C. pronti a chiedere agli Stati miliardi per i mancati guadagni e per le spese sostenute per il lockdown Con alcuni trattati commercial­i l’ue si è messa in trappola da sola

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