Lauro, il Gasparri del rap con la voce da grattugia vilipesa
Non sembra, ma sono giorni esaltanti per la musica. Basta ascoltare la legaiola Susanna Ceccardi, che ha ribadito a In onda estate come Imagine di John Lennon sia una canzone marxista che strizza l’occhio all’unione Sovietica che fu. Parole forti. Attendiamo bramosi altre recensioni della suddetta, certi che saprà farci sognare ancora. Magari dicendoci che Storia di un impiegato di De André era bolscevico, Animals dei Pink Floyd terrorista e La pappa al pomodoro un inno satanico.
VIVIAMO UN’ERA artisticamente alla canna del gas e ogni giorno ne abbiamo la prova. Per esempio con il tweet di tre giorni fa di tal Achille Lauro, uno che ha frequentato due volte Sanremo per ricordarci che l’umanità ha fallito e – tutto sommato – che i Ricchi e Poveri a confronto non erano poi così male. Tal Achille Lauro, nome d’arte per un giuggiolone senz’arte alcuna, ha cinguettato sabato nel social dei morti viventi (Twitter): “Ho firmato il più importante contratto discografico degli ultimi 10 anni. Dormivo su un materasso per terra, adesso scelgo in quale stanza passare la notte e con chi. Sto lavorando a 2 album. Con il primo ci divertiremo, con il successivo cambieremo la musica italiana”. Me cojoni!
A differenza di quanto si possa pensare, il suddetto Lauro (Verona, 11 luglio 1990) era serio. E lo erano anche quelli che, di fronte a un tale delirio tragicomico, l’hanno pure difeso. Definendolo addirittura “artista”. Di prim’acchito verrebbe da dire a tal Lauro di andare a sculacciare i billi della Val di Chiana, pratica in cui forse (almeno lì) eccellerebbe, ma sarebbe un errore. Forte di un talento contagiosamente inesistente, Lauro fa benissimo a esultare: l’hanno riempito di soldi sebbene il talento non l’abbia mai intaccato neanche per sbaglio, e dunque il ragazzotto è su di giri. A Sanremo, solo perché si era vestito a casaccio, qualcuno l’aveva perfino paragonato a David Bowie: ovvio quindi che questo provocatore disinnescato e caricaturale adesso esulti. Ne ha ben donde. E fa bene pure a straparlare con entusiasmo dei nuovi dischi, ben sapendo (in quanto intelligente) che il primo sarà verosimilmente orrendo e il secondo persino peggio. Quanto al “cambiare la musica”, non c’è neanche bisogno di commentare una tale aberrazione lisergica: non essendo quella di tal Lauro “musica”, l’unica cosa che egli potrà cambiare in futuro sarà al massimo l’eventuale stipsi dei (non poco) masochistici fruitori delle sue cacofonie. Avvincente anche il passaggio, un po’ smargiasso e un po’ sessista, sul poter frequentare oggi gli hotel e le persone che vuole: gnuno si immagina i mondi paralleli che vuole e, non di rado, gli specchi riflettono quel che uno vuole (o crede). Tal Lauro, per darsi un’aria vagamente maudit, ama in effetti descriversi come uno che in passato ha sofferto miseria e indigenza (“i materassi per terra”), benché la sua vita sia stata tutt’altro che difficile come ha più volte raccontato Antonio Ricci. La verità – temiamo – è che l’unica straordinarietà di tal Lauro risieda nella sua squisitissima insipienza artistica: egli non ha doti evidenti, non sa fare pressoché niente e la sua voce vanta l’estensione aggraziata delle grattugie vilipese. Ciò nonostante – o forse proprio per questo – ha il suo pubblico. Tal Lauro è una sorta di Gasparri minore del quasi rap, e tanto gli basta per giocare alla rockstar. Son soddisfazioni. Negli anni Sessanta e Settanta di lui non si sarebbe accorto nessuno, ma in questa contemporaneità svilita e incarognita passa quasi per “geniaccio”. Siamo alla frutta. E tal Lauro sta lì a ricordarcelo.