I 239 scienziati all’oms: “Il Covid viaggia nell’aria”
Non c’è più solo il droplet a minacciare di infettarci. Il Covid-19 è anche negli aerosol, le minuscole – nell’ordine dei micron, millesimi di millimetri – particelle di saliva che restano sospese nell’aria quando le espelliamo. Ne sono convinti i 239 scienziati di 32 Paesi che – in una lettera aperta anticipata dal New York Times – chiedono all’organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di rivedere le proprie linee guida. Con effetti potenzialmente rivoluzionari: se il virus circola nell’aria, allora le mascherine servono anche a distanza di sicurezza, vanno ripensati gli impianti di aerazione, le protezioni sanitarie e così via.
FINO ADESSO però l’oms ha considerato l’ipotesi priva di adeguata dimostrazione. Ancora il 29 giugno, nell’ultima versione delle linee guida, si afferma che il Covid si trasmette per via aerea solo “in occasione di procedure mediche capaci di generare aerosol di diametro inferiore a 5 micron”, quali “tracheotomia, intubazione, rianimazione cardiopolmonare” e poche altre. Negli altri casi, il colpevole è il famoso droplet, la gocciolina di saliva più grande, che una volta emessa si deposita al suolo.
Ma a non esserne convinti sono vari consulenti dell’organizzazione e persino alcuni tra gli stessi autori del documento, riporta il Nyt . Secondo loro, i vertici sarebbero troppo rigidi nel valutare le evidenze prodotte, lenti nell’aggiornare i protocolli e allergici alle voci critiche. Tanto che, nonostante le scarse prove scientifiche, non è mai stata messa in dubbio la trasmissibilità del virus mediante le superfici. “Morirebbero piuttosto che ammettere di aver torto”, dice, in anonimo, un consulente di lunga data.
Non solo, ma la storia della pandemia dimostra che l’oms è arrivata in ritardo su aspetti chiave della prevenzione anti-covid. L’uso della mascherina è stato raccomandato solo il 5 giugno, mentre il contagio da parte degli asintomatici è ancora definito “raro” nei documenti ufficiali. Gli scienziati “ribelli” chiedono di adottare il principio di precauzione: anche senza prove definitive, vanno messi in campo gli standard di protezione più stringenti.
INTANTO in Italia continuano a venir fuori focolai di origine estera. A Roma, dei 19 positivi di ieri, 12 sono provenienti dal Bangladesh. Per questo la regione Lazio ha emesso un’or d i n a n z a per sottoporre a test chi arriva con voli diretti dal Paese asiatico, già applicata nel tardo pomeriggio di ieri sui 250 passeggeri atterrati a Fiumicino da Dacca. Anche a Viareggio si è scoperto un cluster di 8 cittadini bengalesi, appartenenti a due diversi nuclei familiari.
In Irpinia, invece, si contano 11 casi d’importazione nelle ultime 48 ore, ricondotti a un 69enne venezuelano e una 32enne romena. “Sugli ingressi in Italia occorrono controlli rigorosi”, attacca il governatore campano Vincenzo De Luca, “così il rischio è non arrivare neanche a settembre, quando potremo essere costretti ad affrontare l’anno scolastico in condizioni gravissime”.
I nuovi contagi di ieri sono stati 208, contro i 192 di due giorni fa. Di questi, ben 111 (oltre il 50%) sono in Lombardia. Mantova e Cremona - nei cui territori c’è un importante focolaio nato in macelli e salumifici - sono le province con più nuovi casi, rispettivamente 22 e 23. Nel frattempo, l’appello di Luca Zaia al governo per consentire il trattamento sanitario obbligatorio a chi rifiuta il ricovero trova l’appoggio del sindaco di Bari e presidente dell’associazione comuni italiani Antonio Decaro: “In casi estremi e ben definiti sono favorevole”, ha detto. Domenica il ministro della Salute Speranza aveva aperto all’ipotesi.
I NUMERI CONTAGI IN AUMENTO I MORTI SONO OTTO