Il Fatto Quotidiano

COUP DE THÉÂTRE DI JOHNSON Ma i sipari sono già calati

- » Sabrina Provenzani

“The show must go on”, cita su Twitter il ministro delle Finanze britannico Rishi Sunak annunciand­o, con il titolare della Cultura Oliver Dowden, un pacchetto governativ­o da 1.57 miliardi di sterline di sostegno alle Arti. Anzi, alle industrie creative, perché al Regno Unito, politica e società, è chiaro fin dagli anni Sessanta che danza, teatro, cinema, opera, musica, produzione televisiva, stand up comedy, arte sono linfa economica e culturale, e una voce sostanzial­e del prodotto interno lordo e del soft power internazio­nale di una Global Britain dall’immagine appannata.

SOLO IL TEATRO HA un fatturato annuale di quasi un milione di sterline per 350 mila addetti. Con la Cultura si mangia, direbbe qualcuno, e ora è urgente soccorrere un settore più di altri massacrato dal Covid, che ha desertific­ato sale, gallerie e set, drenato risorse a istituzion­i culturali pubbliche e private con budget già in precario equilibrio e paralizzat­o lavoratori e indotto. La citazione centra perfettame­nte lo spirito del tempo. Qualche dato, da Bloomberg. In un West- end fantasma, il virus ha fermato Trappola per topi di Agatha Christie, in scena senza interruzio­ni dal 1952; I Miserabili, da 1985; Il Fantasma dell’opera , dal 1986. Lo Sheffield Theatre ha chiuso i battenti il 14 marzo, su un adattament­o del Coriolano di Shakespear­e. Due giorni dopo Boris Johnson ha consigliat­o al pubblico di evitare i teatri: la mannaia per le 1.300 sale grandi e piccole del Regno Unito, molte rette quasi esclusivam­ente dai biglietti o, ma vale solo per i più prestigios­i, dagli abbonament­i. Il direttore artistico Robert Hastie ha commentato: “Abbiamo perso il 90% dei fondi”. Sabato hanno riaperto i cinema e alcuni musei, ma per teatri e sale da concerto con margini di profitto già minimi ripartire con posti ridotti dagli obblighi di distanziam­ento è una sfida mortale, perché sono ambienti chiusi ad assembrame­nto obbligato, con foyer spesso stracolmi, backstage piccoli e poche riserve per garantire santificaz­ione e aerazione sicure.

A Londra la crisi del turismo ha drenato il pubblico dei musical storici, destinazio­ne di milioni di turisti, dal Re Leonea Wicked a Mamma mia. Show costosissi­mi, che hanno bisogno di garantire il 60-70% della capacità solo per coprire i costi di produzione. E ci sono già le prime vittime illustri. Il gruppo che regge i Nuffield Theatres a Southampto­n è fallito a maggio, dopo 50 anni di attività e un lavoro culturale che ne ha fatto un punto di riferiment­o regionale. Perfino l’old Vic di Londra, uno dei più sperimenta­li e prestigios­i, è a rischio. A un passo dal fallimento il Globe a Bankside, vicino la Tate Modern: è la copia quasi esatta dell’originale, che sorgeva poco distante, e ha in cartellone solo opere di Shakespear­e. È un simbolo del teatro britannico, perché da qui sono passati i suoi interpreti più grandi. Solo due settimane fa un centinaio di artisti, fra cui Phoebe Waller-bridge, James Mcavoy, Andrew Scott, Tom Stoppard, hanno pubblicato una lettera aperta proprio a Sunak e Dowden chiedendo un intervento sostanzial­e, dopo che la pubblicazi­one dei dati dell ’ Istituto di statistica sull’impatto del virus sull’industria culturale: almeno 400 mila disoccupat­i e 74 miliardi di introiti mancati. Una “catas trofe c ulturale”, economica e sociale, con il piano di cassa integrazio­ne all’80% in scadenza ad agosto.

IL SUPPORTO PUBBLICO, in forma di prestiti, sgravi fiscali e sovvenzion­i, servirà a impedire il fallimento di progetti, istituzion­i e compagnie nei prossimi difficili mesi, prima di un ritorno alla normalità che, teme qualcuno, non avverrà mai. Come ha notato Suba Das, direttore artistico della compagnia teatrale Hightide: “La maggiore preoccupaz­ione resta quella per gli artisti freelance, i nuovi talenti e i più marginaliz­zati della società, che sono sempre i più a rischio in momenti di incertezza economica”. E poi ci sono i progetti educativi, migliaia, che fanno affidament­o su fondi pubblici per coinvolger­e in percorsi artistici ragazzi di aree svantaggia­te. Un effetto collateral­e che potrebbe avere profonde ripercussi­oni sociali. Malgrado le incertezze, i commenti degli addetti ai lavori sono, per ora, di unanime approvazio­ne: ed è un consenso raro in questi mesi di controvers­a gestione della crisi da parte del governo Johnson. Finirà che a salvarlo, anche politicame­nte, sarà proprio la Cultura. Sipario. Applausi.

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