Il Fatto Quotidiano

Ex trombettis­ta nei night compose per Mina e Ppp Sul Boss, suo fan, disse: “Bravo ‘Springfiel­d’!”

- » Stefano Mannucci

Iprimi sette secondi. Al Maestro avevano detto che il destino di una canzone si giocava nell’att a cc o . “Prima che l’ascoltator­e si distragga”, intuì Morricone. Negli anni Sessanta era lui a farti vorticare dentro la voragine in cui veniva risucchiat­a per sempre la memoria collettiva. L’ex trombettis­ta da night nel tempo oscuro della guerra era diventato l’arrangiato­re dei 45 giri d’oro nella Rca dimelis, la fabbrica dei successi: dove lavorava pure un rivale come Luis Bacalov.

L’ORDINE DI SCUDERIA era divertirsi e stupire: Morricone, che si era fatto le ossa “ripulendo” partiture sghembe per la radio, vestì Ogni volta di Paul Anka con un’orchestraz­ione sorniona da un milione e mezzo di copie. Si metteva lì, il Maestro, con la concentraz­ione mistica da grande scacchista (lo era: impattò la sfida con Spassky) e trovava il varco segreto di un universo parallelo: la vertigine de Il mondodi Jimmy Fontana; il crescendo pigramente sensuale di Sapore di sale con il sax prezioso di Gato Barbieri ma anche i rimbrotti a Paoli perché “cantava male”. E le estati eterne di Edoardo Vianello, vitellone spiaggiaro­lo su A bbronzatis­simaocon le pinne, fucile ed occhiali, quando il mare era una tavola blu senza distanziam­enti sociali.

Giocava con il catalogo del pop nazionale, Morricone, non solo per garantirsi un “posto fisso”, come da mitologia sociale dell’epoca, bensì pure per sperimenta­re, senza darlo a vedere, con i vezzi della musica colta: per dare “corpo” al Barattolo di Gianni Meccia fece registrare il rotolìo di un vero cilindro di latta, roba che neanche Warhol e Cage messi insieme. Era astuto, l’allievo prediletto di Petrassi: buttava una citazione criptica da Beethoven nelle pieghe di una napoletana­ta di Miranda Martino o una trama dodecafoni­ca in un capriccio beat per Rita Pavone, tanto nessuno se ne accorgeva. Tratteneva nell’orecchio tutti i rumori del mondo, sapendo che gli sarebbero tornati utili. Rientrato da Marsiglia, si ricordò della sirena della polizia francese: serviva la sigla per una trasmissio­ne, al testo lavoravano Maurizio Costanzo e Ghigo De Chiara, Mina cantò quel capolavoro col gerundio, Se telefonand­o. “Poi me ne chiese un’altra, ma sparì: il fidanzato musicista non voleva”. Era Augusto Martelli: quella stizza certificav­a la grandezza del Maestro. Che aveva messo su “una filastrocc­a” con Pasolini per metterla in bocca a Modugno, Uccellacci e uccellini. E arrangiato C’era un ragazzo per Morandi con austera nonchalanc­e.

Voleva essere ricordato per le composizio­ni alte, impresse il marchio nei juke box delle stagioni ruggenti. Con romanissim­a ironia demoliva l’e go delle star: ribattezzò l’amico Baglioni “Audio Bagliori”. Gli dei del rock lo omaggiavan­o ovunque: i Metallica, gli U2, i Clash, i Ramones, Waters. Springstee­n, suo fan assoluto, partecipò a un rifaciment­o di C’era una volta il West in un album tributo. Ne chiesi conto al Maestro, e lui, fingendo un’amnesia: “Chi? Ah, quel bravo chitarrist­a. Springfiel­d!”.

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