Ex trombettista nei night compose per Mina e Ppp Sul Boss, suo fan, disse: “Bravo ‘Springfield’!”
Iprimi sette secondi. Al Maestro avevano detto che il destino di una canzone si giocava nell’att a cc o . “Prima che l’ascoltatore si distragga”, intuì Morricone. Negli anni Sessanta era lui a farti vorticare dentro la voragine in cui veniva risucchiata per sempre la memoria collettiva. L’ex trombettista da night nel tempo oscuro della guerra era diventato l’arrangiatore dei 45 giri d’oro nella Rca dimelis, la fabbrica dei successi: dove lavorava pure un rivale come Luis Bacalov.
L’ORDINE DI SCUDERIA era divertirsi e stupire: Morricone, che si era fatto le ossa “ripulendo” partiture sghembe per la radio, vestì Ogni volta di Paul Anka con un’orchestrazione sorniona da un milione e mezzo di copie. Si metteva lì, il Maestro, con la concentrazione mistica da grande scacchista (lo era: impattò la sfida con Spassky) e trovava il varco segreto di un universo parallelo: la vertigine de Il mondodi Jimmy Fontana; il crescendo pigramente sensuale di Sapore di sale con il sax prezioso di Gato Barbieri ma anche i rimbrotti a Paoli perché “cantava male”. E le estati eterne di Edoardo Vianello, vitellone spiaggiarolo su A bbronzatissimaocon le pinne, fucile ed occhiali, quando il mare era una tavola blu senza distanziamenti sociali.
Giocava con il catalogo del pop nazionale, Morricone, non solo per garantirsi un “posto fisso”, come da mitologia sociale dell’epoca, bensì pure per sperimentare, senza darlo a vedere, con i vezzi della musica colta: per dare “corpo” al Barattolo di Gianni Meccia fece registrare il rotolìo di un vero cilindro di latta, roba che neanche Warhol e Cage messi insieme. Era astuto, l’allievo prediletto di Petrassi: buttava una citazione criptica da Beethoven nelle pieghe di una napoletanata di Miranda Martino o una trama dodecafonica in un capriccio beat per Rita Pavone, tanto nessuno se ne accorgeva. Tratteneva nell’orecchio tutti i rumori del mondo, sapendo che gli sarebbero tornati utili. Rientrato da Marsiglia, si ricordò della sirena della polizia francese: serviva la sigla per una trasmissione, al testo lavoravano Maurizio Costanzo e Ghigo De Chiara, Mina cantò quel capolavoro col gerundio, Se telefonando. “Poi me ne chiese un’altra, ma sparì: il fidanzato musicista non voleva”. Era Augusto Martelli: quella stizza certificava la grandezza del Maestro. Che aveva messo su “una filastrocca” con Pasolini per metterla in bocca a Modugno, Uccellacci e uccellini. E arrangiato C’era un ragazzo per Morandi con austera nonchalance.
Voleva essere ricordato per le composizioni alte, impresse il marchio nei juke box delle stagioni ruggenti. Con romanissima ironia demoliva l’e go delle star: ribattezzò l’amico Baglioni “Audio Bagliori”. Gli dei del rock lo omaggiavano ovunque: i Metallica, gli U2, i Clash, i Ramones, Waters. Springsteen, suo fan assoluto, partecipò a un rifacimento di C’era una volta il West in un album tributo. Ne chiesi conto al Maestro, e lui, fingendo un’amnesia: “Chi? Ah, quel bravo chitarrista. Springfield!”.