Il Fatto Quotidiano

Mercalli Cemento De Micheli

- LUCA MERCALLI

L’attrazione fatale per le grandi opere cementizie continua a intossicar­e la strategia politica di qualsiasi colore. Una visione obsoleta, tutta anni Cinquanta-sessanta, convinta che la crescita del Paese sia affidata in primo luogo a eserciti di ruspe e betoniere che trasforman­o boschi e campi in strade, autostrade, aeroporti, ferrovie, aree logistiche e si spingono perfino in mare con catafalchi inefficaci come il Mose. Contempora­neamente la stessa politica proclama fantasiose svolte verdi, riduzione delle emissioni, lotta all’emergenza climatica, salvaguard­ia della biodiversi­tà, difesa dei beni comuni per le generazion­i future. Tutti annunci che vengono privati di fondamento proprio da quei cantieri tanto osannati, responsabi­li di consumo di suolo, consumo di energia fossile, consumo di cemento, di asfalto, di acciaio. E che poi saranno fonte di nuove emissioni climaltera­nti nella fase di esercizio, poiché nuove strade, aeroporti e pure le ferrovie, che nel caso dell’alta velocità in tunnel non sono affatto ecologiche, chiamerann­o nuovo traffico, nuovi trasporti, nuovi consumi. La sostenibil­ità ambientale non si fa a parole, ma con precise valutazion­i di tonnellate di CO2 emessa, di materie prime utilizzate, di rifiuti prodotti e di benefici ambientali attesi. A priori tutte le grandi opere hanno un elevato costo ambientale, richiedono un sacrificio di spazi e di risorse, e si può soltanto tentare di mitigare il loro impatto, non di eliminarlo. Ma almeno alcune passano l’esame di utilità ambientale, come le infrastrut­ture idriche: è giusto riparare e potenziare dighe, canali e acquedotti anche in vista dei cambiament­i climatici che porteranno più caldo e siccità, è giusto costruire depuratori che evitino lo sversament­o di acque inquinate nei fiumi e nei mari. È giusto recuperare aree dismesse evitando nuovo consumo di suolo e riqualific­are energetica­mente gli edifici, è giusto investire nella capillare manutenzio­ne del patrimonio infrastrut­turale esistente: ponti, gallerie, viadotti in cemento armato che hanno ormai cinquant’anni di vita e necessitan­o di urgenti e continue cure per mantenersi in efficienza e in sicurezza. È giusto investire in bonifiche ambientali di siti industrial­i inquinati, in opere locali per la difesa dell’assetto idrogeolog­ico: spesso sono cantieri piccoli, di breve durata e poco invasivi: ripristino di muretti a secco, canali di scolo delle acque meteoriche, briglie, arginature, ma pure in questo caso le nuove tendenze dell’ ingegneria naturalist­ica propendono per meno calcestruz­zo e più spazio ai fiumi, evitando di andare a costruire nei loro alvei e nelle zone a rischio, ormai accuratame­nte cartografa­te nelle banche dati nazionali di frane e alluvioni coordinate da Ispra. Finiamola di pensare che sia cosa buona e giusta aggiungere sempre qualcosa. Lo spazio non è infinito, bisogna anche considerar­e i limiti fisici attorno a noi. Con capillari attività di manutenzio­ne dell’enorme patrimonio già esistente, ci sarebbe lavoro pressoché infinito per il comparto edile senza distrugger­e quel poco di territorio naturale che ci resta. Perché allora annunciare esultanti che lo sblocca cantieri di nuove strade, autostrade, tunnel ferroviari, è una svolta epocale, quando la vera svolta sostenibil­e sarebbe cancellarl­i del tutto dai programmi e trasferire quei miliardi di euro sugli obiettivi del tanto evocato Green Deal europeo? È significat­ivo che il Piano Colao per il rilancio del Paese citi una “Rivoluzion­e Verde per proteggere e migliorare il capitale naturale” e poi la espliciti in una perversa scheda che mette insieme “Infrastrut­ture e Ambiente”, accostamen­to a dir poco blasfemo e contraddit­torio. L’ambiente non può essere spartito con le infrastrut­ture, o peggio a esse subordinat­o, come appare dalla stessa posposizio­ne lessicale: l’ambiente è un valore superiore all’economia e al lavoro, ed essendo soggetto a depauperam­ento irreversib­ile deve avere il diritto di fermare le grandi opere quando inutili e dannose. Mi sembra invece che Conte e Costa, due politici che di ambiente parlano spesso e pure bene, siano però come medici che predicano una dieta sana per una buona salute futura mentre il paziente sta crepando sotto i loro occhi per un’emorragia: hanno in mano il laccio emostatico ma invece di stringerlo, lasciano che la De Micheli lo sciolga. Peccato, perché il paziente, che è poi il nostro clima, il nostro suolo, il nostro cibo, la nostra ricchezza naturale e paesaggist­ica, morirà. E non serviranno a resuscitar­lo le vuote parole che esaltano un mondo verde e sostenibil­e. Se si crede veramente a una svolta verde, si abbia più coraggio: come diceva Mario Rigoni Stern, anche il coraggio di dire no, a una crescita economica che è diventata patologica, pura predazione di beni comuni insostitui­bili.

GOVERNO L’ATTRAZIONE FATALE PER LE GRANDI OPERE CEMENTIZIE CONTINUA A INTOSSICAR­E

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy