Il Fatto Quotidiano

Lerner Prodi su B. sbaglia

- GAD LERNER

Anche a voler pensar male, Romano Prodi non è sospettabi­le d’ intendenza col“nemico” che sconfisse due volte. Fatelo pure più spregiudic­ato e calcolator­e di quanto appaia, ma dispone di antenne sufficient­i per sapere che Silvio Berlusconi mai e poi mai lo appoggereb­be nella corsa per il Quirinale. Che gli è preclusa da un’ostilità accanita della destra e dalla diffidenza già dimostrata­gli dalla palude renziana e dalemiana.

Non è di ieri, peraltro, la sua proposta di un governo sostenuto da una “coalizione Orsola” d’impronta europeista, formata dai partiti italiani che a Strasburgo votarono Ursula von der Leyen alla presidenza della Commission­e Ue: dal M5S a Forza Italia. Fu un’idea che mise subito per iscritto l’agosto scorso, non appena entrò in crisi l’alleanza fra grillini e leghisti.

Riconosciu­ta la coerenza che gli spetta, resta da chiedersi se davvero un governo Conte rimpastato o comunque sorretto dai voti di Berlusconi potrebbe funzionare e fare il bene dell’italia. Come sostenuto da tutti i principali giornali e dalle forze economiche che ne ispirano l’indirizzo politico.

LA STORIA dei governi di unità nazionale sperimenta­ti in Italia suggerisce il contrario: durano poco, finiscono per incentivar­e nuovi aspri conflitti politici anziché sedarli, e soprattutt­o si rivelano inadeguati ad affrontare le emergenze che ne avevano motivata la nascita.

Vediamo. Nell’immediato dopoguerra l’unità nazionale si frantumò in tre brevi governi, uno guidato da Parri e due da De Gasperi. Il partito comunista ne fu estromesso nel maggio 1947, il che non impedì alla fine di quell’anno il varo della Costituzio­ne. I governi Andreotti di compromess­o storico, fondati sulla non sfiducia e sull’appoggio esterno del Pci, durarono meno di tre anni, dall’agosto 1976 al marzo 1979, e aprirono la strada a un infelice ciclo economico che penalizzò i redditi da lavoro e ingigantì il debito pubblico. Infine, nel 2013, dopo soli nove mesi Forza Italia ritirò il suo appoggio al governo Letta, favorendo l ’ av vi o della stagione renziana. Perfino il non scritto ed extraparla­mentare Patto del Nazareno si infranse, e in seguito Berlusconi trovò convenient­e accodarsi al traino leghista.

Prodi ora sostiene che l’ingresso di Forza Italia nella maggioranz­a non produrrebb­e esiti traumatici perché la vecchiaia ha reso più saggio Berlusconi. Anche se non lo dice, probabilme­nte calcola anche che il suo partito – attualment­e dotato di buoni numeri in parlamento – va incontro a un inesorabil­e declino. E dunque il Cavaliere avrebbe convenienz­a a far pesare oggi i voti di cui non disporrà più domani. Può darsi. Ma credo che il ragionamen­to di Prodi non faccia i conti con la natura del residuo notabilato di destra da cui è composta Forza Italia: un insieme di clan locali, votati all’autoperpet­uazione, fedeli al capo solo fin tanto che Berlusconi sia in grado di garantirgl­i una candidatur­a sicura. E rimasti del tutto estranei alla cultura liberalcon­servatrice del Partito popolare europeo.

CON QUESTA MATERIA prima, è impensabil­e replicare in Italia l’esperienza della grosse koalition di marca tedesca. Fondata su un programma articolato, stipulato fra due forze politiche di lunga tradizione, e ciò non di meno ormai da tempo entrata in crisi. Tanto che sembra del tutto improbabil­e che la grosse koalition germanica sopravviva alle prossime elezioni del 2021.

I residui di Forza Italia sono animati da un istinto che li trascinerà inevitabil­mente a destra. E, nel dopo Berlusconi, dubito assai che si fidino a lasciarsi guidare da Renzi.

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