• D’agostino Perché la revoca
Le motivazioni con le quali la Corte costituzionale ha negato il titolo ad Aspi per ricostruire il ponte Morandi saranno conosciute con il deposito della sentenza. Dal comunicato, tuttavia, si evince quanto meno un punto fermo: l’eccezionale gravità della situazione ha compromesso l’operatività dei vincoli contrattuali reclamati dalla concessionaria, che avrebbero dovuto legittimarne la partecipazione alla gara. La pronuncia limita l’affermazione a un momento di parziale incertezza sulle responsabilità della tragedia e individua nell’esigenza cautelare la piena giustificazione costituzionale del provvedimento. L’eccezionale gravità denunciata dalla Corte è il parametro sul quale va inquadrata la vicenda. Rispetto a quello perde all’evidenza rilievo la valutazione delle inadempienze contrattuali dell’accordo capestro sottoscritto da autorità amministrative finora non sottoposte a indagine penale e amministrativa, come sarebbe già avvenuto in un Paese che tutela le proprie istituzioni. Il 18 agosto 2018, avevo scritto sul Fatto che la vicenda non rientrava tra i comportamenti rilevanti nel contesto contrattuale, ma nell’illecito per omissione. Intendevo dare solo suggerimenti e avevo definito la gestione del ponte da parte di Autostrade come sostanzialmente proprietaria. Volevo, cioè, mettere in risalto i doveri di custodia, ai quali la società era tenuta in virtù della concessione. Sarò qui più preciso: la tragedia del ponte di Genova ricade nella fattispecie dell’art. 2053 c.c. (rovina d’edificio) che disciplina un caso di responsabilità oggettiva per illecito (quanto meno) civile. È oggettiva la responsabilità della cui prova è esonerata la parte danneggiata, mentre si impone al soggetto individuato dalla prescrizione di dimostrare la mancanza di ogni collegamento con il fatto dannoso. Spetta nel nostro caso al concessionario e custode del bene, investito dalla convenzione dei relativi diritti, fornire la prova che il crollo non è dovuto a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Si dissolve, in tale contesto, il tema dell’inadempienza contrattuale che interessati paladini legali e dei media cercano di porre al centro della questione per riaffermare l’intangibilità dell’accordo. Mettiamo insieme i due elementi: una situazione di eccezionale gravità e una responsabilità oggettiva, fonte di risarcimento nei riguardi dei familiari delle vittime, dei proprietari delle case coinvolte nel crollo, del Ministero concedente, della Regione e degli enti locali, dell’autorità del porto di Genova e delle imprese che hanno subito gravi danni. A fronte di una situazione tanto compromessa ha ancora senso cercare una soluzione diversa dalla revoca? Anche perché buona parte dei miliardi che il concessionario dovrà pagare per quei risarcimenti, finirebbe per essere accollata a Cassa Depositi e Prestiti, proporzionalmente alle azioni Autostrade in portafoglio per la cessione di quote che taluni auspicano invece della revoca. Rispetto al mio articolo su indicato, non posso sottrarmi a un’autocritica. Avevo scritto che con la diluizione al forse mai delle sanzioni per i potenti, fra “venti o trent’anni i comitati dei parenti delle vittime” avrebbero reclamato invano giustizia. La ministra De Micheli ha ridotto il periodo della mia triste profezia a nemmeno un biennio. Perché è ovvio che la ministra poteva trovare soluzioni meno disastrose di quella di consegnare ad Autostrade il ponte sulla base di un’interpretazione della quale si vergognerebbe pure il dottor Azzeccagarbugli. Resta la fastidiosa impressione per la data scelta per la notizia: il giorno prima dell’udienza avanti la Corte. Un maligno insinuerebbe che si trattava di un messaggio di non belligeranza con Autostrade, sul quale il Giudice delle Leggi avrebbe potuto meditare. Per buona sorte del diritto e a onore della verità ciò non è avvenuto. Con ogni probabilità, quell’intento non era nelle intenzioni della ministra. Le si può, in ogni caso, contestare la mancata percezione politica di quel gesto. Il che non è certo il massimo.
AUTOSTRADE LA MINISTRA POTEVA TROVARE SOLUZIONI MENO DISASTROSE