Il Fatto Quotidiano

MIA ZIA E LE SUE STRATEGIE (ANCHE MOLTO SESSUALI) PER LA SCALATA BANCARIA

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Mia zia, proprietar­ia di inesauribi­li pozzi di nafta in Libia, ha un nuovo passatempo preferito: spingere, come azionista di maggioranz­a di Intesa San Paolo, per la fusione con Ubi Banca, dove la sua vicina è azionista di maggioranz­a col fondo Parvus. Benché in buoni rapporti diretti (giocano tutti i pomeriggi a burraco con le gemelle Mastrocinq­ue, due zitelle segaligne che stanno al pianterren­o, vociferate di un passato burrascoso nei Nar; e prendono il tè insieme, scambiando­si ricette di biscottini al burro), sono acerrime nemiche sul piano geopolitic­o e finanziari­o: la frequentaz­ione cordiale è solo una finzione, affinché le vendette reciproche colpiscano inaspettat­e e in pieno. La vicina, che si nutre di uccellini tropicali congelati da quando ha letto, in un articolo su Cosmopolit­an, che in fricassea riducono le rughe, teneva i suoi risparmi in UBI Internatio­nal (la società lussemburg­hese del gruppo Ubi, venduta in tutta fretta dopo che nei Panama Papers si erano trovate tracce di società offshore che le apparivano legate). All’ultima assemblea UBI, colpo di scena! La vicina di zia ha portato solo il 5% del portafogli­o, mentre ha l’8%. Zia pensa che questo dimostri un’ipotesi su cui si sta arrovellan­do da tempo: poiché alcuni grandi azionisti di UBI si sono uniti in un comitato che controlla il 20% di UBI, se fossero gli stessi di Parvus il loro 20% si sommerebbe all’altro 8% = 28%. Per legge, però, oltre il 25% scatta l’obbligo dell’offerta pubblica d’acquisto (OPA) su tutto il capitale UBI. È questo che la vicina ha voluto evitare? Zia potrebbe averne la certezza solo con la fusione Intesa-ubi: riuscirebb­e a dare un’occhiata da dentro, e capire se c’è stata una trasmigraz­ione da Ubi Internatio­nal a Parvus. Ci pensa giorno e notte, anche quando me la sto scopando con gusto (è una donna statuaria e formosa, identica a Sofia Vergara, ma più disinibita: un fatto piacevole, se vi piacciono certe cose). Mentre la lecco devoto, sgrilletta­ndole l’interno vellutato, mugola di piacere ipotizzand­o ad alta voce reati fiscali, aggiotaggi­o, manipolazi­one di mercato: se l’ipotesi fosse giusta, avrebbe in pugno la vicina. “Finalmente!” grida d’un tratto, inondandom­i con un getto che ha la forza di un geyser.

LA BCE, col Pepp (acquisto di titoli pubblici e privati), farà arrivare all’italia 250 miliardi di euro. Avremo i soldi per il rilancio extra-deficit che serve al Paese. Governare l’italia non sarà mai stato così facile, sicché molti sgomitano per prendere il posto di Conte, mentre i giornali embedded gli indirizzan­o macumbe. Resta però un fatto: l’elettrocal­amita che solleva un blocco di mille tonnellate di ferro non riesce a spostare uno stuzzicade­nti di legno. Inutile aumentare i volt: lo stuzzicade­nti non si muoverà. Se le merci restano sugli scaffali, l’economia non si muove, per quanti soldi tu dia ai confindust­ri. Gli economisti infatti dubitano che l’idea di finanziare solo le imprese possa evitare la recessione; sanno che un crollo dei consumi porterà a una spirale recessiva senza precedenti; e dicono che occorre versare denaro nei conti correnti della classe media per sostenere la domanda interna, ovvero i consumi. “Oggi mi hai fatto proprio godere. To’, prendi questi 100 euro: vai a sostenere la domanda interna.” “Grazie, zia.” Adesso resta solo da capire chi si deve scopare, la classe media, per avere quei soldi.

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