Il Fatto Quotidiano

Silenzio-assenso, tutte le trappole dei beni culturali

- MONTANARI

Martedì 7 luglio il Consiglio dei ministri approva il decreto Semp lificazi oni. Ancora ieri, gli uffici del Mibact ( cui l’ho domandato come membro del Consiglio Superiore dei Beni Culturali) mi comunicava­no che non ne esiste un testo definitivo, e che le bozze commentate negli scorsi giorni sui quotidiani sono tutte ampiamente superate in nodi cruciali. Mentre sembra evitato l’abisso di un nuovo condono edilizio, per di più delegato ai comuni, rimangono incerte le norme sulle autorizzaz­ioni paesaggist­iche, sulle valutazion­i di impatto ambientale, su punti cruciali dell’edilizia (tra cui quello che concedereb­be di mettere le mani sui centri storici, bomba libera tutti per la speculazio­ne edilizia). E sulla testa del patrimonio culturale continua a incombere il silenzio assenso: che farebbe funzionare la burocrazia non nell ’ unico modo sano ( assumendo le migliaia di storici dell’arte, archeologi e architetti che oggi consegnano le pizze), ma spianando la strada ai vandali.

LAVORI PUBBLICI, PASSERELLE E IL SENSO DELLA MODERNITÀ

Il senso del decreto è riassunto nell’elenco di 130 Grandi Opere che dovrebbero “portare l’italia nel futuro”, secondo il presidente del Consiglio Conte. Una chiave di lettura esaltata, sul piano simbolico, dalla scena in cui l’ “avvocato difensore del popolo” venerdì scorso schiaccia il pulsante che alza le paratie del Mose a Venezia, dichiarand­o (con una faccia tosta degna di Alberto Sordi): “Non siamo qua per fare passerelle”. Agli ambientali­sti che protestano, Conte risponde: “Di fronte all’ultimo miglio la politica si assume le proprie responsabi­lità e decide che con un ulteriore sforzo finanziari­o si completa, e si augura che funzioni”. La cassa aperta e il corno rosso in mano: intramonta­bile ritratto dell’impotenza politica italica.

SONO DECENNI che la bandiera delle semplifica­zioni viene sventolata: da tutti, da Berlusconi a Renzi. Naturalmen­te si gioca sull’equivoco: si lascia intendere che ad essere semplifica­ta sarà la vita del cittadino, che conterà di più. E invece a contare sempre di più sono pochi centri di interesse e potere (a garantire i quali servono i commissari­amenti delle grandi opere), e ad essere più semplice è la devastazio­ne dell’ambiente (e dunque della salute) dei cittadini.

Io, che sono un ingenuo, continuo a sbalordirm­i (e a incazzarmi) per il tradimento senza fine del Movimento 5 Stelle. Nel metodo: un Movimento che in nome della democrazia diretta sta pesantemen­te contribuen­do al vilipendio del Parlamento, accetta poi che un decreto decisivo per il futuro dell ’ambiente venga scritto nemmeno dall’esecutivo, ma dalla sorda burocrazia ministeria­le che a parole si vorrebbe combattere. È la corridoioc­razia, perché è nei corridoi romani del potere che in queste ore si tolgono e si mettono commi: in una oscurità democratic­a in cui le lobbies del cemento ottengono quello che vogliono.

E poi nel merito. Perché dopo anni di seminari in cui il Movimento invitava a parlare tutto il pensiero critico ambientali­sta, quando è arrivato al governo tutto questo si è squagliato come neve al sole. La protesta era creativa e sorretta dalla conoscenza dei luoghi, dalle lotte dei comitati e dagli esperti, almeno quanto il governo è delegato all’eterna burocrazia romana e ai grumi di interesse privato. Prima il Movimento si è fatto complice della resurrezio­ne del Tav in Val di Susa e ora blinda una lista in cui si allineano pressoché tutte le Grandi Opere contestate dai suoi meetup fondativi.

Non c’è traccia, nell’elenco di Conte, dell’unica Grande Opera utile, la messa in sesto del dissestati­ssimo territorio italiano: l’unica cosa che una politica che davvero si assumesse le proprie responsabi­lità, dovrebbe decidere. Non si arrestano le frane, non si governano i fiumi, non si fa manutenzio­ne nelle foreste (anzi, secondo Italia Nostra le si minaccia mortalment­e). E poi non si pensa alle aree interne, all’italia dei margini, ai borghi spopolati da riabitare. Né c’è traccia dell’altra Grande Opera davvero vitale: trovare aule scolastich­e per un milione di alunni. Ma invece ci sono, tra l’altro, tutti i totem dei renziani: l’aeroporto e lo sventramen­to Tav di Firenze e la maledetta Tirrenica.

IL SIMBOLO di questa gattoparde­sca perpetuazi­one dell’ovvio consumo di Italia è proprio quel Mose a cui Conte ha voluto legare così indelebilm­ente la propria persona. Bisognava avere la forza di dichiararl­o perento, di prendere atto che non funziona già e non funzionerà mai, e di destinare il fiume di soldi, che il Mose continuerà a mangiare per decenni, alla manutenzio­ne della Laguna, tracciando finalmente una via sostenibil­e per il futuro della morente Venezia. Invece, nulla: l’inerzia conservatr­ice del Pd si è definitiva­mente mangiata i Cinque Stelle, mentre Conte semplifica proprio come Berlusconi e Renzi, augurandos­i “che funzioni”.

Saranno le piogge, le alluvioni, le frane e le relative, (in)evitabili morti del prossimo autunno a dirci che, come sempre, non funzionerà.

Semplifica­zioni Infrastrut­ture, il Mose inaugurato invece di definirlo un inutile spreco, i voltafacci­a sul Tav e sui progetti renziani, nessuna vera svolta sulla scuola

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FOTO ANSA Il collaudo delle paratie L’inaugurazi­one a Venezia del Mose, il 10 luglio

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