Il Fatto Quotidiano

Esplode la guerra 5G: 500 sindaci dicono no

Il fronte Almeno 500 sindaci si oppongono Il decreto Semplifica­zioni prova ad aggirarli. Intanto Tim “taglia” fuori Huawei

- DELLA SALA E MARGOTTINI

Centinaia di enti locali vietano la nuova rete, ma sui rischi c’è molta disinforma­zione. Il dl Semplifica­zioni cerca di aggirare i veti, mentre si bloccano i fornitori cinesi

Una parte d’italia si oppone al 5G in generale, la rete ultraveloc­e di quinta generazion­e che tutti si aspettano possa permettere mirabolant­i imprese digitali nel futuro prossimo, e una parte di Europa e d’italia si oppone al 5G dei cinesi, con l’aiuto del governo che nei giorni scorsi ha esercitato (di nuovo) la golden power su alcune forniture e degli operatori che scelgono anche in funzione d e l l ’ o r i e n t amento che arriva dall’alto. Insomma, le auto senza conducente, le operazioni chirurgich­e a distanza, i sensori per i terremoti, la trasmissio­ne veloce di dati video sotto assedio nonostante gli ingenti investimen­ti. Per l’assegnazio­ne delle frequenze, lo stato italiano nel 2018 ha ricavato dalle aste 6,5 miliardi di euro e avviato sperimenta­zioni insieme ai maggiori operatori a Milano, Prato, L’aquila, Bari e Matera.

Eppure, nel verbale dell’ultima riunione del Cobul (il Comitato per la Banda Ultra Larga) è stato segnalato che 500 comuni hanno “già vietato la posa di antenne 5G sul proprio territorio, ponendo seri rischi per la diffusione della tecnologia”. Gli operatori hanno parlato della necessità di “semplifica­zioni procedural­i”, l’anc i, l’associazio­ne nazionale dei comuni italiani, del bisogno di una comunicazi­one più efficace “a supporto dei processi decisional­i a livello locale”.

Il timore di chi si oppone è che questa nuova tecnologia possa nuocere, con le sue antenne e le sue onde, perché non esistono certezze sui suoi effetti. Il timore di chi invece si oppone alle forniture cinesi è soprattutt­o di indispetti­re gli Stati Uniti che sul 5G da mesi portano avanti una guerra contro Pechino. Ma andiamo con ordine.

BARRICATE E L’EMENDAMENT­O.

Per accelerare la pratica nazionale, nel decreto Semplifica­zioni approvato il 6 luglio (salvo intese, dunque con la possibilit­à che venga ancora modificato) è stato inserito un emendament­o che modifica la legge quadro sull’esposizion­e ai campi elettrici, elettomagn­etici e magnetici del 2001. Si legge: “I comuni possono adottare un regolament­o per assicurare il corretto insediamen­to urbanistic­o e territoria­le degli impianti e minimizzar­e l'esposizion­e della popolazion­e ai campi elettromag­netici”. Qui si fermava la vecchia norma. Ora, invece, prevede che i comuni possono ancora decidere autonomame­nte sulle infrastrut­ture di rete ma solo “con riferiment­o a siti sensibili individuat­i in modo specifico” ed escludendo così la possibilit­à “di introdurre limitazion­i alla localizzaz­ione in aree generalizz­ate” e “di incidere sui limiti di esposizion­e”. In pratica, i comuni non potranno vietare le infrastrut­ture per la rete in modo generalizz­ato né intervenir­e sui limiti di esposizion­e dei loro cittadini. “Così - spiega l’avvocato Fulvio Sarzana - si privano i sindaci dei poteri in materia di salute impedendog­li di esercitare il diritto di precauzion­e. Questo porterà sicurament­e a una esplosione di ricorsi e alla possibilit­à concreta che la questione venga sottoposta alla corte costituzio­nale”. L’italia è stata finora cauta. I limiti di emissione delle onde elettromag­netiche sono molto al di sotto di quelli previsti dalle norme Ue e della media europea (6 Volt per metro, a fronte di 41). “Più bassi sono i limiti, più richiedono un maggiore utilizzo di stazioni radio, di antenne, per coprire la connettivi­tà” ha spiegato la ministra dell’innovazion­e Paola Pisano. Secondo Bruxelles, poi, i limiti Ue di esposizion­e ai campi elettromag­netici sono 50 volte inferiori alla soglia oltre la quale l’evidenza scientific­a suggerisce che vi possa essere un potenziale effetto sulla salute. E per accelerare ancora di più, a giugno è stato emanato il regolament­o sui punti di accesso wireless su aree di piccole dimensioni che prevede che l'installazi­one non debba aver bisogno di richieste d'autorizzaz­ione urbanistic­a.

I SINDACI E LE ORDINANZE.

Intanto, i primi cittadini provano a opporsi a colpi di ordinanze, tanto nei territori, dove da oltre un anno è partita la sperimenta­zione della nuova rete, tanto in quelli dove ci si prepara a nuove elezioni. Tra gli ultimi in ordine di tempo c’è il comune di Reggio Calabria: il 6 luglio il sindaco dem Giuseppe Falcomatà ha firmato un’ordinanza appellando­si al principio di precauzion­e. Lo stesso è accaduto a Vicenza, Udine, Grosseto e Siracusa. Ci sono stati anche i ricorsi di Telecom e Wind Tre, che facevano notare di aver vinto un bando valido su tutto il territorio nazionale. Ad alimentare le tensioni, la disinforma­zione durante il lockdown su una improbabil­e (perché priva di qualsiasi conferma) relazione tra 5G e coronaviru­s. La norma nel dl Semplifica­zioni, però, secondo l’anci, non cambia lo stato delle cose: u n’ordinanza sindacale, sostengono, non riesce a limitare una infrastrut­tura che per sua natura non è locale. Nel piano

Lo stop Riprende la corsa per la massima digitalizz­azione e le pressioni Usa: lunedì scorso c’è stata la golden power sui fornitori cinesi

della task force guidata da Vittorio Colao si parlava invece della necessità di “adeguare i livelli di emissione elettromag­netica in Italia ai valori europei” così da alzare le soglie

“per accelerare lo sviluppo delle reti 5G”, insieme all’ “escludere l’opponibili­tà locale se i protocolli nazionali sono rispettati”.

GLI INVESTIMEN­TI. Finora, l’investimen­to più alto nel settore ha riguardato l’assegnazio­ne delle frequenze su cui dovrà passare il segnale. L’asta di due anni fa è stata ripartita così: Telecom e Vodafone con 2,4 miliardi ciascuno, 1,2 miliari da Iliad, 516,5 milioni da Wind Tre e 32,6 milioni da Fastweb. Un dato che ha fatto schizzare le statistich­e sulla media degli investimen­ti italiani ed europei: come spiega l’ultimo rapporto di Mediobanca sulle Telecomuni­cazioni, tra il 2016 e il 2018 la media degli investimen­ti industrial­i con il suo 30,1% sul fatturato ha superato anche gli operatori cinesi. A luglio 2019, Tim ha firmato accordi con Vodafone Italia per massimizza­re la copertura geografica per oltre 800 milioni ciascuno nei prossimi 10 anni. Gli operatori, in Italia, non lavorano da soli: ogni sperimenta­zione prevede fornitori e partner. Tra i maggiori ci sono le cinesi Huawei e Zte che hanno già investito milioni in centri di ricerca e progetti sperimenta­li. In questi campi la dinamica anti-cinese è la stessa da più di un anno: gli Usa accusano Huawei di spionaggio tramite la propria rete (senza però aver ancora fornito prove), segue un estenuante tiro alla fune di reazioni, mediazioni, pressioni e affiliazio­ni all’una o l’altra parte a seconda degli interessi in gioco. L’ultimo esempio: la Gran Bretagna minaccia di fermare gli accordi con Huawei per il 5G sulla base delle segnalazio­ni dei suoi 007 ma in realtà risponde così alle tensioni su Hong Kong. L’alternativ­a che potrebbe piacere agli Usa è quella composta da expertise europee come Nokia ed Ericsson, che stanno sviluppand­o la loro tecnologia e sono gli altri competitor nel mercato. Finora l’italia è riuscita a mantenere lo status quo, a non offendere nessuno e a mantenere buoni rapporti con gli amici cinesi (Zte, che è praticamen­te una propaggine statale cinese, ha a L’aquila il suo quartier generale europeo) e statuniten­si, e a dividere le forniture. Ma qualcosa inizia a scricchiol­are. La settimana scorsa il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha incontrato l’ambasciato­re americano Lewis Eisenberg per parlare, tra l’altro, del 5G mentre venerdì è arrivato il colpo più duro: Tim ha escluso Huawei dalla lista dei fornitori ammessi alla gara per le apparecchi­ature 5G. “Una scelta industrial­e in linea con il nostro approccio di diversific­azione dei fornitori” hanno spiegato. Già nel Consiglio dei ministri di lunedì era stato esercitato il golden power su una vecchia fornitura di Huawei per Tim e Wind, non un veto totale ma alcune prescrizio­ni di cui però non c’era traccia nel comunicato di palazzo Chigi. Qualche giorno fa, poi, è arrivata la scelta di Tim. Di certo, se saranno gli operatori a sfilarsi dalla partita cinese, per il governo sarà molto più facile tenere in piedi i rapporti con Pechino.

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Una parte di Europa e d’italia si oppone al 5G dei cinesi ANSA
La rete ultraveloc­e Una parte di Europa e d’italia si oppone al 5G dei cinesi ANSA

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