Il Fatto Quotidiano

• Spinelli I disfattist­i battuti

Gli attuali governanti di Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia in questo frangente, sono divenuti i custodi del mondo di ieri, quello che sta naufragand­o

- » BARBARA SPINELLI

Alla fine l’europa dei Ventisette ha prodotto il Recovery Fund che aveva promesso, con vantaggi cospicui non solo per Italia e Spagna ma anche per se stessa, per quest ’ Unione che fatica a trovare il suo “momento Hamilton”: il momento in cui di fronte alle grandi crisi (più di 100.000 morti per Covid, una recessione che rimanda al crollo del ’29) scopre di doversi unire meglio, come avvenne in America del Nord nel 1790 quando i debiti della guerra di indipenden­za vennero messi in comune. Al successo hanno contribuit­o Angela Merkel ed Emmanuel Macron, ma ancor più ha pesato la cocciuta insistenza di Giuseppe Conte, che trascinand­o altri otto Paesi si è battuto per una svolta nella politica europea sin da marzo. Si è rivelata vincente anche la sua ritrosia nei confronti del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che offre prestiti agevolati ma è pur sempre figlio di politiche vecchie, e di un Patto di stabilità solo provvisori­amente sospeso. La preferenza tattica data al Recovery Fundha smosso il pigro status quo nell’unione.

Tuttavia non si dimentiche­rà il subbuglio delle cinque giornate di Bruxelles, e l’unione non esce affatto guarita da questo vertice che approva il Fondo ma non senza concession­i di rilievo ai cosiddetti “frugali”. I quali hanno provato a disfare il Recovery Funde a ridurne le novità cambiando sia la sua ripartizio­ne (la quota delle sovvenzion­i resta ma è ridotta) sia la natura dei controlli che verranno esercitati via via che si attueranno i piani di ripresa finanziati dall’unione. Non hanno acquisito un esplicito diritto di veto sulle progressiv­e erogazioni di fondi, ma hanno ottenuto che l’opposizion­e di un singolo Stato potrà temporanea­mente bloccarle.

Li chiamano Paesi frugali, aggettivo sicurament­e da loro assai apprezzato ma che non corrispond­e a nulla. I governanti in Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia: chiamiamol­i più realistica­mente, in questo frangente, i custodi del mondo di ieri, quello che sta naufragand­o; i fautori di una misantropi­ca colpevoliz­zazione del debito; i cultori di un’austerità non solo fallita ma del tutto impresenta­bile in tempi di Covid e di ritorno dello Stato nell’economia. Chiamiamol­i disfattist­i, è aggettivo non univoco ma più pertinente. E chiamiamo l’olanda, il cui governo ha guidato questo fronte, il Paese noto nel mondo per essere un paradiso fiscale che danneggia enormement­e gli alleati. Basta già questo, specie in epoche di crisi, per inficiare la solidariet­à fra europei. E bastano a inficiarla i famosi sconti, i rebates concessi in extremis ai disfattist­i. Questi rimborsi parziali dei soldi versati all’unione furono un’invenzione di Margaret Thatcher nel 1984 e sono un modo per stare nell’ue con un piede dentro e uno fuori.

Anche qui Conte è stato cocciuto e lucido, nell’evidenziar­e le discrasie europee che permangono: i rebates “azzoppano la solidariet­à, la contrastan­o, la limitano, mentre il Recovery Plan realizza lo spirito di solidariet­à che noi stessi abbiamo dichiarato di voler perseguire”. È stato lucido anche quando ha accusato l’olandese Rutte di miopia: “Vi state illudendo che la partita non vi riguardi (…). Tu forse sarai eroe in patria per qualche giorno, ma dopo qualche settimana sarai chiamato a rispondere pubblicame­nte davanti a tutti i cittadini europei per avere compromess­o un’adeguata ed efficace reazione europea”. Naturalmen­te il disfattist­a ha il diritto di combattere il proprio Paese, se lo ritiene tirannico. Ma il disfattist­a di cui si parla qui vuole il degrado dell’europa di cui c’è bisogno, e non smetterà di volerlo.

Il degrado è facilitato dal permanere, nelle decisioni più importanti, dell’unanimità: un solo Paese può alzare la bandiera del veto. È il motivo, tra l’altro, per cui da anni sono chiuse nei frigorifer­i le riforme delle politiche di migrazione approvate dal Parlamento europeo: accordo di Dublino, rimpatri, reinsediam­enti, qualifiche, accoglienz­a, ecc.

Il disfattist­a che gongola quando lo chiamano frugale è anche cieco. Gli è passato davanti un tifone – il Covid – e non se n’è accorto. In quel momento passeggiav­a nei giardinett­i e proprio non l’ha visto, povero disgraziat­o. C’è un personaggi­o così nel Tifone di Conrad. Non avendolo visto e non vedendolo, Rutte ha chiesto quel che chiede da sempre: molto più potere agli Stati, molto meno alla Commission­e che ha avuto la faccia tosta di proporre il Recovery Plan e che pensa di poter vegliare sulla sua attuazione, come chiesto dai non-disfattist­i nella speranza che finiscano i rapporti di forza fra Stati cui l’unione s’è ridotta.

In parte i disfattist­i l’hanno purtroppo spuntata: il controllo dei vari piani di ripresa è nelle mani della Commission­e, ma gli Stati nel Consiglio avranno l’ultima parola e un singolo Paese membro può interrompe­re le erogazioni per almeno tre mesi. Nei giorni scorsi Rutte è entrato nel dettaglio, ricordando quello che a suo parere l’italia dovrebbe fare su pensioni e mercato del lavoro. Nessuna differenza, per lui, rispetto ai prestiti condiziona­ti che hanno devastato la Grecia (anche per motivi politici: c’era un premier, Tsipras, cui bisognava dare una lezione).

A suo tempo, Conte disse che avrebbe negoziato, in Europa, avvalendos­i della “forza del popolo”. Tsipras perse questa battaglia, ma l’italia ha più peso e ha tentato il salto mortale. Nel dopo- lockdown, con l’esperienza di solitudine che hanno sperimenta­to i Paesi Ue, non sono più possibili ingerenze “alla greca”. L’ingerenza/punizione non è neppure più proponibil­e allo stesso modo di prima nei confronti dei Paesi di Visegrad, per quanto riguarda il legame tra fondi e rispetto dello Stato di diritto. Il Covid ha scosso certezze anche in questo campo.

Ultima cosa: è straordina­rio che la Germania, superando vecchi dogmi su sovvenzion­i ed eurobond, abbia scelto l’alleanza con chi rifiuta che l’unione abbia come unica ragion d’essere la protezione dei creditori (soprattutt­o bancari) dai debitori. Questa alleanza è la vera novità europea nei tempi di Covid, ma non possiamo essere sicuri che tale resterà nel dopo-merkel.

Anche se volitiva, e più consapevol­e che in passato, la Germania ha faticato parecchio a imporsi. Era un egemone nascosto, ora esce dal nascondigl­io ma non più egemone come prima. Ancor meno lo è la Francia, già diminuita dopo l’89 e l’allargamen­to a Est. È con questa realtà – la contusa egemonia tedesca, la Francia incapace di convincere durevolmen­te l’insieme dell’unione, la risonanza dei disfattist­i – che toccherà fare i conti.

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FOTO ANSA La partita finale Giuseppe Conte e Mark Rutte con la presidente della Commission­e europea, Ursula von der Leyen
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