• Ossola Che vuol dire “frugale”
Il termine è stato ben scelto: non solo perché le fruges sono il raccolto, frutto della lavorazione dei campi, ma anche perché si possono predicare, in senso figurato, come cultura dell’animo, come richiama Virgilio nell’ae tna: “Ciascuno faccia messe di buone arti: esse sono i frutti dell’animo [ illae /sunt animi fruges ]”.
Sicché la “frugalità” è divenuta virtù e si è dimenticato, dello stesso Virgilio, il vecchio di Còrico, incontrato a Taranto: “Rincasando a tarda notte, guarniva la mensa di cibi non comprati; primo [ era] fra tutti nel cogliere la rosa a primavera e la frutta in autunno […] e spremendo i favi raccoglieva spuma di miele” ( Georgiche, IV). La sua frugalità è altra: quella di cogliere per tempo ciò che la natura offre, e godere di quella bellezza che Virgilio vorrebbe cantare: la rosa di Pesto.
I frugali d’oggi sembra che coltivino meno la frugalità e molto più il Frugalism, Frug al i sm u s , Fr ug a li s m e: quel vivere un po’ al di sotto delle proprie possibilità, non solo contenendo i consumi, ma saggiando la voluttà della privazione, specie se predicata; peraltro solo chi ha può scegliere di cosa privarsi, dice l’antico adagio.
Ora questo stile ascetico ha molti pregi, se applicato a sé; imposto ad altri diventa come l’armeggiamento di donna Prassede, di manzoniana memoria.
Le fruges animi si coltivano, certo, e, ancor più, si contemplano.