Il Fatto Quotidiano

• Ragazzi Privato non è bello

- GIORGIO RAGAZZI

C’è chi accusa questo governo di essere statalista e nemico del mercato perché intendereb­be nazionaliz­zare le autostrade. Si brandiscon­o slogan per fini elettorali propinando fake news. La proprietà delle autostrade è sempre stata pubblica, solo la gestione è stata affidata, a tempo, a privati. Ricordiamo che la società Autostrade (Aspi) fu privatizza­ta dall’iri solo per far cassa; al tempo veniva considerat­a un’impresa assai ben gestita (inventò anche il Telepass) e l’e ventuale maggiore efficienza di un’impresa privata non fu mai evidenziat­a come motivo della privatizza­zione. Quali potrebbero essere allora gli aspetti negativi di un ritorno al controllo pubblico?

PER RISPONDERE

occorre aver ben chiaro quale sia l’attività richiesta al gestore. A differenza dalle “normali” imprese, il gestore di un un’autostrada non deve conquistar­si nuovi clienti, non è esposto alla concorrenz­a né ai rischi che cambino le tecnologie o i gusti dei consumator­i. L’attività ordinaria è molto semplice: esazione dei pedaggi, pulizia e manutenzio­ne. C’è ben poco spazio per differenze di efficienza tra impresa pubblica e privata. Per questo non vi sarà alcun bisogno che la Cassa Depositi e Prestiti, quando acquisirà il controllo della Aspi, si cerchi un “socio industrial­e”, né i Benetton lo erano quando assunsero il controllo di Aspi.

L’unica attività difficile e “delicata” per un concession­ario è la gestione degli appalti per nuove opere. Nel caso di un’impresa pubblica il rischio è quello della corruzione nella gestione degli appalti; è un rischio col quale si confronta qualunque impresa pubblica che gestisca strade o infrastrut­ture ferroviari­e, ma nessuno propone per questo di privatizza­re l’anas o le Ferrovie.

Se il gestore dell’autostrada è una società privata il rischio di corruzione negli appalti è minore (non nullo) ma i costi tendono a salire perché i lavori vengono in genere affidati a società controllat­e mentre l’impresa pubblica può indire gare aperte. Ma col gestore privato il rischio maggiore diviene un altro, quello che gli economisti chiamano eleganteme­nte “cattura del regolatore” riferendos­i ai cento modi per ottenere favori da funzionari e ministri a scapito degli utenti. Per massimizza­re il profitto quello che distingue un gestore privato di successo non è l’efficienza nella gestione, dove lo spazio è poco, bensì la capacità di ottenere aumenti di tariffa o proroghe della concession­e o ridurre al minimo le manutenzio­ni e gonfiare i costi. L’esperienza degli ultimi due decenni mostra quanto abili siano i concession­ari nell’ottenere “regali” dai vari ministri e quanto fallimenta­re sia stata la capacità dell’apparato pubblico di difendere gli utenti limitando i profitti dei concession­ari in rapporto al capitale investito. Per la storia di Aspi rinvio al mio libro La sven

dita di Autostrade (Paper First), ma il caso di Aspi non è il solo.

Chi tuona contro la “nazionaliz­zazione” forse pensa, illudendos­i, che in futuro lo Stato sarebbe capace di sottrarsi a ogni forma di cattura; forse è meglio eliminare il rischio passando la gestione a un’i mpre sa pubblica. L’a c c or d o tra governo e Atlantia non configura una “nazionaliz­zazione” di Aspi: questa resterà una società per azioni quotata e con un azionariat­o diffuso; ciò che conta è che il controllo e quindi il management sia di nomina pubblica. Non sarà certo la Cdp che lo nomina a spingere un amministra­tore a trafficare con ministri e funzionari per aumentare i profitti.

Altra fake news è che la presunta nazionaliz­zazione di Aspi metterebbe a rischio il finanziame­nto degli investimen­ti per la fuga degli investitor­i esteri. Che i concession­ari siano necessari in quanto apportereb­bero capitali per gli investimen­ti in autostrade è solo una favola. I Gavio hanno investito solo briciole e finanziato tutti gli investimen­ti a debito e gli aumenti di capitale con i profitti. I Benetton e gli altri soci della Schemavent­otto non hanno mai versato capitali in Autostrade; hanno pagato l’iri nel 2000, recuperato tutto in pochi anni e incassato molte volte quanto investito. Tutti gli investimen­ti in autostrade sono stati finanziati a debito e ripagati con i pedaggi. I fondi esteri hanno acquistato azioni Aspi solo per partecipar­e alla rendita, non hanno mai avuto alcun ruolo nel finanziame­nto degli investimen­ti.

In Spagna il governo ha intrapreso un vero cambiament­o nel settore: si riprende l’infrastrut­tura man mano che le concession­i scadono. Quando un’autostrada è stata ammortizza­ta si dovrebbe eliminare il pedaggio o ridurlo al solo costo di manutenzio­ne. In Italia la lunga durata delle concession­i non consente cambiament­i radicali. Il passaggio del controllo di Aspi al settore pubblico è già un risultato significat­ivo; ora resta da vedere come sarà modificata la convenzion­e, su quali regole verranno determinat­e le tariffe e quali benefici avranno gli utenti.

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