• Ragazzi Privato non è bello
C’è chi accusa questo governo di essere statalista e nemico del mercato perché intenderebbe nazionalizzare le autostrade. Si brandiscono slogan per fini elettorali propinando fake news. La proprietà delle autostrade è sempre stata pubblica, solo la gestione è stata affidata, a tempo, a privati. Ricordiamo che la società Autostrade (Aspi) fu privatizzata dall’iri solo per far cassa; al tempo veniva considerata un’impresa assai ben gestita (inventò anche il Telepass) e l’e ventuale maggiore efficienza di un’impresa privata non fu mai evidenziata come motivo della privatizzazione. Quali potrebbero essere allora gli aspetti negativi di un ritorno al controllo pubblico?
PER RISPONDERE
occorre aver ben chiaro quale sia l’attività richiesta al gestore. A differenza dalle “normali” imprese, il gestore di un un’autostrada non deve conquistarsi nuovi clienti, non è esposto alla concorrenza né ai rischi che cambino le tecnologie o i gusti dei consumatori. L’attività ordinaria è molto semplice: esazione dei pedaggi, pulizia e manutenzione. C’è ben poco spazio per differenze di efficienza tra impresa pubblica e privata. Per questo non vi sarà alcun bisogno che la Cassa Depositi e Prestiti, quando acquisirà il controllo della Aspi, si cerchi un “socio industriale”, né i Benetton lo erano quando assunsero il controllo di Aspi.
L’unica attività difficile e “delicata” per un concessionario è la gestione degli appalti per nuove opere. Nel caso di un’impresa pubblica il rischio è quello della corruzione nella gestione degli appalti; è un rischio col quale si confronta qualunque impresa pubblica che gestisca strade o infrastrutture ferroviarie, ma nessuno propone per questo di privatizzare l’anas o le Ferrovie.
Se il gestore dell’autostrada è una società privata il rischio di corruzione negli appalti è minore (non nullo) ma i costi tendono a salire perché i lavori vengono in genere affidati a società controllate mentre l’impresa pubblica può indire gare aperte. Ma col gestore privato il rischio maggiore diviene un altro, quello che gli economisti chiamano elegantemente “cattura del regolatore” riferendosi ai cento modi per ottenere favori da funzionari e ministri a scapito degli utenti. Per massimizzare il profitto quello che distingue un gestore privato di successo non è l’efficienza nella gestione, dove lo spazio è poco, bensì la capacità di ottenere aumenti di tariffa o proroghe della concessione o ridurre al minimo le manutenzioni e gonfiare i costi. L’esperienza degli ultimi due decenni mostra quanto abili siano i concessionari nell’ottenere “regali” dai vari ministri e quanto fallimentare sia stata la capacità dell’apparato pubblico di difendere gli utenti limitando i profitti dei concessionari in rapporto al capitale investito. Per la storia di Aspi rinvio al mio libro La sven
dita di Autostrade (Paper First), ma il caso di Aspi non è il solo.
Chi tuona contro la “nazionalizzazione” forse pensa, illudendosi, che in futuro lo Stato sarebbe capace di sottrarsi a ogni forma di cattura; forse è meglio eliminare il rischio passando la gestione a un’i mpre sa pubblica. L’a c c or d o tra governo e Atlantia non configura una “nazionalizzazione” di Aspi: questa resterà una società per azioni quotata e con un azionariato diffuso; ciò che conta è che il controllo e quindi il management sia di nomina pubblica. Non sarà certo la Cdp che lo nomina a spingere un amministratore a trafficare con ministri e funzionari per aumentare i profitti.
Altra fake news è che la presunta nazionalizzazione di Aspi metterebbe a rischio il finanziamento degli investimenti per la fuga degli investitori esteri. Che i concessionari siano necessari in quanto apporterebbero capitali per gli investimenti in autostrade è solo una favola. I Gavio hanno investito solo briciole e finanziato tutti gli investimenti a debito e gli aumenti di capitale con i profitti. I Benetton e gli altri soci della Schemaventotto non hanno mai versato capitali in Autostrade; hanno pagato l’iri nel 2000, recuperato tutto in pochi anni e incassato molte volte quanto investito. Tutti gli investimenti in autostrade sono stati finanziati a debito e ripagati con i pedaggi. I fondi esteri hanno acquistato azioni Aspi solo per partecipare alla rendita, non hanno mai avuto alcun ruolo nel finanziamento degli investimenti.
In Spagna il governo ha intrapreso un vero cambiamento nel settore: si riprende l’infrastruttura man mano che le concessioni scadono. Quando un’autostrada è stata ammortizzata si dovrebbe eliminare il pedaggio o ridurlo al solo costo di manutenzione. In Italia la lunga durata delle concessioni non consente cambiamenti radicali. Il passaggio del controllo di Aspi al settore pubblico è già un risultato significativo; ora resta da vedere come sarà modificata la convenzione, su quali regole verranno determinate le tariffe e quali benefici avranno gli utenti.