• Truzzi Vuoti da lavoro smart
Sono 26 mila metri quadrati di facciata, 5 mila cellule vetrate che insieme fanno il Curvo, il grattacielo progettato dall’architetto Daniel Libeskind che qualche giorno fa è stato ultimato nel quartiere City life, Milano. I giornali hanno scritto che il gigante di vetro (si sviluppa su 39 piani, per 175 metri) in autunno “ospiterà la nuova sede milanese del Gruppo PWC, grande società di consulenze”. Contiamo che sia così, perché - nonostante le rassicurazioni degli esperti del settore immobiliare - quel che si mormora in città non fa ben sperare: sarà forse la suggestione dalle grandi torri disabitate, dal silenzio delle saracinesche, dal panorama della città, mai deserta come in queste settimane? Le grandi aziende stanno aspettando di capire come e quando saranno prorogati il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione. Il timore è che appena il blocco decadrà, i posti di lavoro verranno decimati. Intanto, in questo tempo sospeso, vige lo smart working, che in parte può spiegare le città vuote e che divide molto l’op i ni on e pubblica. Per mesi è stato una scelta obbligata, ora rischia di essere la scusa per risparmiare sui costi (servizi, affitti, benefit ai lavoratori). Si sprecano, sui giornali, fiumi di parole sul “progresso che non si può fermare”. Che ogni progresso porti a un miglioramento delle condizioni di vita e convivenza sociale è tutto da verificare, come dimostrano questi ultimi anni. La grande domanda ora è questa: alla fine del tempo sospeso, i grattacieli torneranno a riempirsi? Forse no. L’idea di molte aziende è quella di affittare spazi per riunioni una
tantume per il resto continuare col lavoro da casa.
NON È SOLO L’INDOTTO
di queste grandi aggregazioni di uffici a preoccupare – e quindi i bar, i ristoranti, le palestre, i negozi di prossimità che si affollavano durante le pause pranzo – ma soprattutto la nuova “flessibilità” che rischia di diventare un boomerang per i lavoratori. Ne parlava ieri su Repubblica Milano, l’architetto ingegnere Carlo Ratti “che da anni lavora sul futuro delle città” e oggi per il World Economic Forum è copresidente del “Future Council” su città e urbanizzazione. I toni farebbero la felicità di Crozza-fuksas: “È una sorta di pendolare dei continenti”, ci spiegano perché, dopo il loc
kdown a Boston, sta facendo smart working in giro per l’europa: “Sono stato in Piemonte, a Parigi, ora su un’isola greca”. Quanto ai contenuti, sono questi: “Con lo
smart working, in teoria potresti anche trasferirti a Rocca Canotta e andare a Milano solo due volte alla settimana, ma se ti piace mangiare giapponese, se vuoi vedere gli amici, andare a teatro, a una mostra o a un foam
party, chi te lo fa fare? Milano manterrà la sua attrattività, ma la maggiore flessibilità ci porta a capire come trasformare una grande città”. E ancora: “La nuova flessibilità permette di vivere meglio anche lo spazio urbano. Il problema della città del 900 era quello di Fantozzi. Vi ricordate il ragioniere che cerca di salire sul bus e non ci riesce perché tutti prendono lo stesso mezzo nello stesso momento o tutti vanno in vacanza partendo lo stesso giorno alla stessa ora? Ecco, la grande questione sarà capire come, grazie alla flessibilità permessa dalle nuove tecnologie, riusciremo a ridurre i picchi, un po’ come è accaduto con l’indice del contagio. Vale per il traffico, per l’energia, per l’inquinamento”. Varrà anche per i licenziamenti, le riduzioni di paga e dei diritti che sono all’orizzonte? A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, dice il proverbio. Magari non è vero, però non vorremmo che in un momento così insidioso le decisioni venissero lasciate al mercato, rinviando quella che non è affatto “una questione privata” – lavorare come, dove, quanto – a quando i buoi saranno già scappati e non si potrà che prendere atto di scelte già prese.
IL “CURVO” TERMINATO IL PALAZZO DI LIBESKIND: È DESTINATO AL COLOSSO PWC, FORSE...