Il Fatto Quotidiano

Pm: “Descalzi va condannato a 8 anni per tangenti”

- GIANNI BARBACETTO

Richieste pesanti, anni di carcere e rimborsi miliardari. Dopo due intere giornate di requisitor­ia, i pmfabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno formulato le richieste di pena per gli imputati del processo Eni-nigeria, accusati a Milano di corruzione internazio­nale. Ben 8 anni per l’appena riconferma­to amministra­tore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e per il suo predecesso­re Paolo Scaroni; 6 anni e 8 mesi per l’intermedia­rio Luigi Bisignani e per due manager Eni, Vincenzo Armanna e Ciro Pagano; 7 anni e 4 mesi per il braccio destro di Descalzi, Roberto Casula. Addirittur­a 10 anni per l’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete.

È la vicenda della concession­e dei diritti d’esplorazio­ne del blocco petrolifer­o Opl 245, il più grande giacimento della Nigeria, assegnata nel 2011 a Eni e Shell in cambio del pagamento di 1 miliardo e 92 milioni di dollari, versati dalla compagnia petrolifer­a italiana su un conto a Londra del governo africano, ma poi subito girati a Malabu, una società riferibile all’ex ministro Etete, e infine dispersi in una serie di conti di politici, faccendier­i, ministri ed ex ministri nigeriani e di alcuni mediatori internazio­nali, come Bisignani, Gianfranco Falcioni e il russo Ednan Agaev (per gli ultimi due sono stati richiesti 6 anni di reclusione).

Pesanti le richieste in denaro: 900 mila euro ciascuna a Eni e Shell come sanzione, più la confisca di 1 miliardo e 92 milioni di dollari, pari all’intera cifra pagata dalle compagnie per ottenere Opl 245: secondo l’accusa, è una gigantesca tangente, sottratta allo Stato africano e spartita tra politici nigeriani, intermedia­ri e “consulenti”, con qualche “retrocessi­one” anche a manager Eni. Un caso in cui la mazzetta non è una percentual­e, ma l’intera somma dell’affare trattato. Pesanti le richieste di pena (da 6 anni e 8 mesi a 7 anni e 4 mesi) anche per i quattro manager Shell coinvolti nella vicenda e imputati nel processo milanese, che però – a differenza di quelli Eni – sono già tutti usciti dalla compagnia petrolifer­a anglo-olandese.

A settembre, toccherà agli avvocati di parte civile, che rappresent­ano lo Stato nigeriano e chiederann­o i danni subiti nell’affare, e infine ai difensori dei tredici imputati e delle due compagnie. Eni ha sempre negato le responsabi­lità proprie e dei propri manager, definendo “inconsiste­nti” gli argomenti dell’accusa e “prive di qualsiasi fondamento le richieste di condanna”. La compagnia sostiene di aver regolarmen­te pagato i pattuiti 1,092 miliardi di dollari su un conto del governo nigeriano: “Eni non conosceva, né era tenuta a conoscere l’eventuale destinazio­ne dei fondi successiva­mente versati a Malabu dal governo nigeriano”.

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