Così Conte&alleati han vinto la partita
SVOLTA MERKEL POI IL PREMIER SPACCA L’ASSE DEI “FRUGALI”
L’accordo al Consiglio europeo è stato raggiunto alle 5.30 del mattino, annunciato dal presidente Charles Michel. Il risultato è in primis simbolico: per la prima volta l’unione sarà autorizzata a contrarre prestiti sui mercati per finanziare spese comuni, o meglio aiuti ai Paesi per far fronte alla crisi innescata dal Covid. Il vertice iniziato venerdì e finito all’alba di ieri (il più lungo della storia europea) ha visto ridimensionare le risorse finali, ma non per l’italia, che evita anche il potere di veto in mano ai singoli Paesi. Il Consiglio europeo, cioè i governi, rafforza il suo ruolo a scapito della Commissione – vera sconfitta della partita – mentre i Paesi “f rugal i” ottengono altri sconti sul bilancio Ue. Restano alcuni nodi, a partire dai tempi di erogazione dei fondi, non brevi.
I SOLDI. Confermati i 750 miliardi del Recovery fund, che si chiama Next generation Ue: 390 miliardi di sussidi e 360 miliardi di prestiti. I primi sono sensibilmente calati rispetto ai 500 miliardi proposti da Berlino e Parigi a maggio. Il cuore del piano è il Recovery and Resilience Facility (Rrf), che sale da 310 a 312 miliardi, mentre la componente prestiti aumenta di 110 miliardi. L’italia – in base alla proposta della Commissione – partiva da 85 miliardi di sussidi e 90 di prestiti: è riuscita – stando ai calcoli del governo – a mantenere invariati i primi e a far salire i secondi a 127 miliardi. Se le cifre saranno confermate, il beneficio netto della quota sussidi per l’italia sarà intorno ai 25 miliardi, trasformando Roma da contributore netto a beneficiario netto del bilancio Ue. Il risparmio sui prestiti è dato invece dai tassi bassi e dalle lunghe scadenze.
I TEMPI. Il meccanismo si aggancia al budget europeo 2021-2017 (che vale 1.074 miliardi). I soldi andranno “impegnati” entro il 2023 (il 70% entro il 2022) e i pagamenti “entro il 2026”. I soldi vanno tutti rimborsati entro il 2058. Il vero problema è che non arriveranno subito, il grosso effettivo non prima del 2023. L’intesa però prevede un anticipo del 10% delle somme nel 2021 (per l’italia circa 15-20 miliardi). Altro vantaggio: ammesse anche le spese retroattive sostenute dagli Stati a partire da febbraio 2020.
IN VINCOLI. I soldi saranno erogati in base ai “Recovery plan triennali” dei singoli Paesi: li approverà il Consiglio europeo, cioè i governi, a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione. Che a sua volta verifica il rispetto puntuale dei target per sbloccare i pagamenti sulla base dei tecnici dei ministeri finanziari dei 27 Paesi (cioè sempre i governi) che si esprimeranno “per consenso”. I Paesi “frugali” volevano anche un potere di veto. Il compromesso è il “freno di emergenza”: uno Stato membro può deferirne un altro in caso di “gravi scostamenti dai target” al Consiglio Ue che avrà tre mesi per discuterne “esaustivamente”. La parola finale spetta alla Commissione, ma il giudizio del Consiglio non si potrà eludere e nel frattempo i pagamenti sono bloccati. I target sono vincolati al rispetto delle “raccomandazioni” che ogni anno l’ue invia ai Paesi.
Quelle per l’italia, nel 2019 auspicavano una riduzione del debito/pil (una stretta fiscale).
LA SCURE. La perdita di 110 miliardi di sussidi è tutta a carico dei progetti specifici che si aggiungevano ai bilancio Ue (passano da 190 a 77 miliardi): il fondo per aiutare le imprese in difficoltà viene azzerato; la ricerca (Horizon, di cui beneficiano soprattutto i Paesi del Nord) perde il 60% delle risorse; la salute il 100%; il
fondo per la transizione ecologica l’80%; è stato cancellato anche lo strumento di “vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale”; tagli anche a digitale e coesione. In pratica i governi hanno cancellato il programma di lavoro della Commissione. Von der Leyen ha definito la cosa “deplorevole”.
I REGALI. Per ottenere l’ok, ai Paesi “frugali” sono stati confermati e aumentati (tranne che per la Germania) i rebates gli sconti sul bilancio: Svezia (+62%); Danimarca (+120%); Austria (+274%) e Olanda (+25%), che però si vede alzare dal 20 al 25% la quota dei dazi doganali che riscuote per conto dell’ue. A conti fatti uno sconto di 26 miliardi in 7 anni. I Paesi come Ungheria e Polonia ottengono invece la rinuncia a qualsiasi vera subordinazione dei fondi al rispetto dello “Stato di diritto”.