Il Fatto Quotidiano

Vedi il deserto, poi bevi alcol per dimenticar­e

IL RACCONTOIN­CANTI e strazi di un viaggio al Salar de Uyuni

- » Selvaggia Lucarelli

Il Salar de Uyuni, in Bolivia, è il più grande deserto salino del mondo. Un’area enorme, grande quanto l’abruzzo, e in effetti non escludo che pure l’abruzzo in altre epoche potesse essere un deserto di sale e che poi il sale l’abbiano consumato tutto per condire gli arrosticin­i. L’idea di visitare quell ’ immensità s’è concretizz­ata nell’estate 2018.

Il Salar de Uyuni, in Bolivia, è il più grande deserto salino del mondo. Un’area enorme, grande quanto l’abruzzo, e in effetti non escludo che pure l’abruzzo in altre epoche potesse essere un deserto di sale e che poi il sale l’abbiano consumato tutto per condire gli arrosticin­i. L’idea di visitare quell ’ immensità di sale sospesa a 3600 metri tra vulcani e montagne si è concretizz­ata nell’estate del 2018, quando dopo un lungo viaggio in Perù, sono arrivata in Bolivia passando la frontiera sul lago Titicaca. Una roba che detta così suona molto avventuros­a, anche se in effetti di avventuros­o c’è stato solo il ritrovarsi ad attraversa­re un tratto di lago piatto su cui la nostra imbarcazio­ne oscillava pericolosa­mente per motivi ignoti, come se un mostro marino la prendesse a testate sul fondo. E garantisco che anche se sai nuotare, l’idea di poter finire nel Titicaca con la temperatur­a dell’acqua che non supera i 5 gradi, evoca subito scene apocalitti­che alla Titanic: già mi vedevo su una tavola galleggian­te, un fischietto in bocca e il mio fidanzato generosame­nte in acqua, in ipotermia avanzata, con due stalattiti di ghiaccio che gli pendevano dal naso. E invece siamo arrivati dall’altra parte, dove dopo neppure 5 km a bordo di una macchina con un autista insolitame­nte silenzioso, siamo finiti in una specie di villaggio nel nulla, di quelli che non trovi neppure su Google Maps e infatti io e il mio fidanzato abbiamo provato a geolocaliz­zarci con Google Maps ma Google Maps continuava a geolocaliz­zarci nel bel mezzo dell’oceano quindi o eravamo finiti ad Atlantide o ci sono zone della Bolivia che il satellite salta perché tanto lì chi volete che ci finisca a parte qualche turista italiano che deve rompere i coglioni alla Farnesina a Ferragosto.

ECCO, FATTO STA CHE

ne lla Frittole boliviana (la chiameremo Las Frittolas) era in corso una specie di grande festa patronale. Alla nostra domanda all’autista: “Che cosa si festeggia?”, l’autista rispondeva: “Non lo so, in Bolivia tutti i giorni è la festa di qualcosa!”. In effetti poche ore prima eravamo passati per una cittadina, Copacabana, in cui dei sacerdoti benedivano con l’acqua santa i motori delle macchine addobbate con fiori e immagini sacre, macchine le quali in attesa della benedizion­e si mettevano in fila nella via centrale della città come al Mc Drive. Una specie di gay pride dell’automobile, insomma. E quindi abbiamo chiesto all’autista di fermarsi mezz’ora perché volevano partecipar­e alla festa di qualcosa a Las Frittolas e non ce ne siamo pentiti perché la festa era un campionari­o di umanità meraviglio­so: c’erano donne ubriache che danzavano in centinaia con scialli colorati, uomini che suonavano la tromba completame­nte ubriachi per cui non sapevi se stavano suonando l’inno della Bolivia o della S.p.a.l., uomini travestiti da donne, da strani spiriti e da torte a più piani, anche loro completame­nte ubriachi e poi, a parte noi, un unico turista vestito da cowboy che pareva Brad Pitt in

Thelma e Louiseperò completame­nte ubriaco.

RIENTRATI IN MACCHINA

completame­nte ubriachi abbiamo chiesto all’autista se la Bolivia avesse anche dei difetti: “Ne riparliamo quando andrete al Salar”, ci ha risposto. Non abbiamo capito che quella non era una frase buttata lì per caso, ma una di quelle frasi a effetto che rivelano il plot del film, tipo “Vedo la gente morta”. Dopo tre giorni a La Paz, due a Sucre e tre a Potosí dove i 4000 metri di altitudine mi hanno creato qualche lieve, impercetti­bile scompenso umorale (ho minacciato il boliviano che non aveva il poncho della mia taglia di vendicare la morte del Che in Bolivia iniziando con lui), siamo arrivati nella città di Uyuni, porta di accesso per il Salar. Ora, voi capite che con questo nome misterioso e la sua incredibil­e posizione, ci aspettavam­o che Uyuni fosse una città magica.

IN REALTÀ, SE IL SALAR

di Uyuni è il deserto di sale più grande del mondo, Uyuni detiene a sua volta un altro primato: è la città più brutta del mondo. Credetemi, ne ho viste di città brutte. Sono nata e cresciuta nel triangolo “centrale elettrica-mattatoio-supercarce­re di Civitavecc­hia”, ho visto le periferie di Pechino ad agosto e Bucarest a fine novembre, ma Uyuni è un non luogo: case in cemento mai terminate, come se un pandemia selettiva avesse sterminato tutti i muratori del posto, strade polverose che a ogni colpo di vento ti fanno diventare una maschera del teatro Kabuki, un mercato in cui si vende paccottigl­ia così oscena che alla fine sei tu a vendere qualcosa a loro, ristoranti in cui, giuro, ho letto “pasta al pesto” segnata sul menu come “pasta alla peste” e ho ancora il dubbio che non fosse un refuso bensì un condimento locale. Ed è in questo contesto che avendo 24 ore da spendere lì, prima di affrontare il deserto, abbiamo deciso di chiuderci in un dignitoso hotel prenotato da me mesi prima e di uscire solo per la partenza, il giorno dopo. Solo che non risultava effettuata alcuna prenotazio­ne, per il 10 agosto 2018. Ce n’era una per lo stesso giorno, ma l’anno dopo, avevo fatto confusione su boo

kin g. E l’hotel dignitoso era pieno. Quindi siamo finiti in un hotel che ovviamente aveva solo un’ala costruita, per l ’ altra metà sembrava Sarajevo durante l’as se di o. Roba che se la sera tornavi stanco e infilavi la chiave nella toppa sbagliata, precipitav­i nel vuoto, dal quarto piano.

Comunque sì, nonostante tutto ne è valsa la pena. Il deserto di sale è uno spettacolo indescrivi­bile, una specie di allucinazi­one abbagliant­e e lunare in cui puoi non incontrare nessuno per 100 km. Salvo poi ritrovarti nel mezzo di quella distesa bianca, su un isolotto di soli cactus, a un passo dalla Cordiglier­a delle Ande, vicino a un geyser, a 3500 metri di altitudine, con una tizia che ti batte sulle spalle e fa: “Ma a Ballando con le stellemari­otto è infame co

me sembra?”.

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FOTO ANSA Paradiso esotico Una veduta del Salar de Uyuni al tramonto

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