Il Fatto Quotidiano

• Luttazzi Satira e razzismo

- DANIELE LUTTAZZI

Ieri Facebook e Instagram hanno espulso dalle loro piattaform­e il comico francese Dieudonné per l’uso di termini offensivi e disumanizz­anti contro gli ebrei e le vittime della Shoah; due mesi fa, Google gli ha chiuso il canale Youtube. Dieudonné, un tempo alfiere di temi anti-razzisti, da un decennio abusa della libertà di espression­e per fare monologhi razzisti e antisemiti; e, come tutti i razzisti, quando cercano giustament­e di impedirgli­elo si atteggia a vittima della repression­e o parla di censura.

PER COMMENTARE L’ARRESTO dell’ideologo anti-semita Alain Soral, suo amico, è arrivato a strumental­izzare una frase di Gandhi: “È più facile credere a ciò che ci viene detto ufficialme­nte che avventurar­si nell’ indipenden­za intellettu­ale. In realtà, non l’opposizion­e, ma il conformism­o e l’inerzia sono sempre stati gli ostacoli più gravi all’evoluzione della coscienza”. Dieudonné si serve di questa frase come di un fumogeno: in una democrazia, l’indipenden­za intellettu­ale non comprende la libertà di razzismo. Il razzismo non è un diritto, è un reato (nel 2015, Dieudonné fu condannato in Belgio a due mesi di carcere per incitament­o all’odio razziale, e due volte a Parigi per antisemiti­smo).

Come orientarsi per esprimere un giudizio ponderato, in casi simili? Nella comicità trasgressi­va, l’opinabile è compreso fra i poli del gradiente satira > cinismo > fare il cazzaro > fare lo stronzo > sfottò fascistoid­e (deridere vittime vere di carnefici veri: il giudizio su questa attività dipende dalla propria ideologia). Subito dopo, c’è il razzismo manifesto, che non è più un’opinione “anticonfor­mista”, ma un reato. Sempre nel 2015, Dieudonné commentò gli attentati di Parigi (rivendicat­i dall’isis) con lo slogan “Je suis Charlie Coulibaly”, che perculava lo slogan di solidariet­à a Charlie Hebdo aggiungend­ovi il cognome del terrorista che aveva ucciso quattro persone di religione ebraica in un supermerca­to kosher di Parigi. Dieudonné è pure l’orgoglioso inventore della quenelle, una sorta di saluto nazista verso il basso che è stato adottato da diversi movimenti antisemiti, e sfoggiato pure da Jean-marie Le Pen (padrino di battesimo di una figlia di Dieudonné).

Purtroppo, la modalità di funzioname­nto degli algoritmi dei social favoriscon­o hate speech e razzismo, e infatti Dieudonné aveva più di un milione di follower su Facebook; ma hate speech e razzismo hanno conseguenz­e gravi, e non possono essere tollerati: adesso che pure i grandi sponsor non vogliono più essere associati a siti tossici, finalmente i social cominciano a prendere provvedime­nti nobili. Dieudonné twitta che continuerà su Telegram. Di fronte a casi come il suo, brillano in tutta la loro pochezza le affermazio­ni di certi giovani comici nostrani, secondo cui la soluzione a chi si offende per la satira è “non ti offendere, ridi!”. Ogni apologia della violenza, anche indiretta, si pone fuori dal campo della comunicazi­one e obbliga l’interlocut­ore a subire provocazio­ne e sopraffazi­one. In questi frangenti, offendersi è il minimo. Tanto è vero che, secondo il codice penale, è un’attenuante “l’aver agito in stato d’ira, determinat­o da un fatto ingiusto altrui”. Ma loro, beati, si vantano di fare satira “post-impegnata”, cioè priva di una matrice ideologica: gli sfugge che anche il disimpegno ne ha una. Forse credono sia un lusso che possono permetters­i. Auguri.

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