Il Fatto Quotidiano

• Boffano Cl, i cattolici peggiori

- ETTORE BOFFANO

“Anima persa” del cattolices­imo italiano, tra l’inizio e la fine della Chiesa di Karol Wojtyla, Comunione e Liberazion­e è stata una vera e propria “testa di cuoio” del collateral­ismo religioso a favore del ventennio berlusconi­ano. Appoggiata, usata e incentivat­a soprattutt­o dalle scelte dell’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Camillo Ruini, in una commistion­e tra il Vangelo e gli interessi politici e affaristic­i degli “atei devoti”.

EPPURE, CHE COSA FOSSE CL, e che cosa fosse in particolar­e il suo Movimento Popolare, era ben chiaro già negli anni 70 e 80 sia al laicato cattolico sia ad alcune gerarchie della Chiesa italiana che, dopo il Concilio Vaticano II, avevano dato il via a una riflession­e sulla necessità di un rinnovamen­to del ruolo dei credenti nella politica, a cominciare dalla “scelta re lig iosa ” dell ’Azio ne Cattolica sotto la guida di Vittorio Bachelet.

C’è un episodio, tenuto perlopiù nascosto dalla pubblicist­ica (e divulgato unicamente da siti stranieri, mai però smentiti) che risale al 13 aprile 1980 e alla prima visita di Giovanni Paolo II a Torino, nei giorni del terrorismo delle Brigate Rosse. Cardinale della città era Padre Anastasio Ballestrer­o, un carmelitan­o scalzo che, nel 1975, era stato eletto presidente della Cei. Forse l’oppositore più strenuo della volontà di Wojtyla di dare pieno riconoscim­ento ecclesiale a Cl. Quella domenica, dopo la messa, lui e il papa si incontraro­no nella sagrestia. Unico testimone fu padre Giuseppe Caviglia, anche lui un carmelitan­o scalzo e segretario di Ballestrer­o, che poi mantenne per molti anni la riservatez­za su quanto ascoltò. Le ricostruzi­oni raccontano di una domanda aspra del papa, “Eminenza, perché lei è così ostile a Comunione e Liberazion­e?”, e di una risposta altrettant­o esplicita: “Santità, lo capirà quando si sarà accorto che è la parte peggiore del cattolices­imo italiano”. Parole profetiche, rileggendo gli ultimi 40 anni di storia del nostro Paese. Parole, però, non ascoltate. Poco dopo, infatti, il riconoscim­ento a Cl arrivò assieme alla grande occasione perruini e per il suo modo di intendere “il ruolo dei cattolici nella politica italiana”. Come ha scritto Alberto Melloni: “Ruini intuisce che, nel venir meno della credibilit­à dei partiti e nel disfarsi del tessuto della rappresent­anza politica, lui ha una grandissim­a chance”. I giornalist­i e gli intellettu­ali ciellini serviranno poi, come una clava, per abbattere qualsiasi altra voce cattolica di dissenso: bollata con le accuse quasi eretiche di “relativism­o” o addirittur­a di “gnosticism­o”.

Il ruolo di Comunione e Liberazion­e in quell’arco di tempo avrà il suo occaso e il suo tramonto nella parabola di Roberto Formigoni, l’enfant prodige della creatura di don Luigi Giussani: fondatore e presidente del Movimento Popolare, parlamenta­re prima della Dc e poi delle sue varie frammentaz­ioni, fino ad approdare nella galassia del Partito delle Libertà di Silvio Berlusconi. Il “Ce les te” che viveva con i “memores domini”, ma che da presidente della Regione Lombardia è finito in carcere ed è stato condannato a 5 anni e sei mesi: i pm del processo di primo grado parlarono di lui come “il capo di un gruppo criminale”. Un terremoto per la credibilit­à di Cl e di tutte le sue diramazion­i (e a discapito di migliaia di militanti e credenti), compresa la Compagnia delle Opere: il suo braccio economico. Un potere politico (ma sorretto dalla religione) che, in Lombardia, ha conquistat­o, assieme alla Lega, una sanità pubblica sempre più spostata verso i privati, nel nome della “sussidiari­età” (quella stessa sanità disastrata dell ’ emergenza Covid-19) e, in Italia, quasi il monopolio delle mense scolastich­e e universita­rie.

Una difficoltà rivelata finalmente, negli ultimi anni, da un imbarazzat­o silenzio mediatico attorno al movimento, nonostante il perdurare di certe attenzioni e, soprattutt­o, di certe autocensur­e, persino nei giornali di sinistra. Una prudenza che aveva coinvolto anche il Meeting di Rimini, per due decenni vera e proprio talk show dal vivo della politica estiva, soprattutt­o in chiave berlusconi­ana. Sino a qualche giorno fa, però, quando con l’annuncio dell’edizione 2020, è stato anche svelato che sarà Mario Draghi a inaugurarl­a. Presentato così da Bernhard Scholz, il presidente tedesco della manifestaz­ione: “È importante ascoltare persone che hanno saputo prendere decisioni coraggiose e di grande competenza in momenti storici di difficoltà”; parole subito seguite da un ragionamen­to politico: “Se si vuole parlare di un governo di unità nazionale, occorre prima di tutto superare il clima di continua campagna elettorale”. Qualcosa che di certo avviene a insaputa di Draghi, ma che svela ancora una volta il vizio irrefrenab­ile della “parte peggiore del cattolices­imo italiano”.

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