Il Fatto Quotidiano

“Epstein non si è ucciso: io costretto alla fuga dall’fbi”

John Mark Dougan Il poliziotto americano dall’esilio in Russia parla dei segreti del miliardari­o: “Non si è suicidato”

- IACCARINO E PROVENZANI ▶

John Mark Dougan, nome in codice da whistleblo­wer : “Bad wolf ”, lupo cattivo. L'ex poliziotto americano coinvolto nel caso Epstein risponde al telefono dal suo esilio siberiano, nella Federazion­e russa che gli ha concesso asilo quando, ricercato per intercetta­zioni, è scappato dagli Stati Uniti sfuggendo agli agenti dell'fbi. Racconta la sua versione rauca della storia del miliardari­o americano dalla siderale Irkuzk.

L'uomo che avrebbe fornito al Cremlino di Putin diversi file sugli abusi sessuali del principe Andrea è nato nel Delawere 43 anni fa, è cresciuto nel Colorado da “cowboy americano”, è figlio di un pilota d'aerei che conosceva bene i cieli della Colombia e solo nel 1984 smise di trasportar­e droga in Sudamerica. Questo l'inizio della bizzarra sorte di Dougan, che ha accumulato nella sua biografia un'inusitata quantità di dettagli straordina­ri, che lui giura siano tutti veri. Dopo pessimi voti a scuola, ma ottimi risultati in informatic­a, Dougan si arruola a 20 anni nei Marines. Quando molla l'esercito diventa programmat­ore informatic­o. Decide di abbandonar­e il monitor per la divisa, nel 2002 si arruola come ufficiale dello sceriffo della Contea di Palm Beach, Florida. Rimane operativo fino al 2009, quando decide di denunciare alcuni colleghi corrotti alla stampa locale: “Un gruppo di poliziotti picchiava membri delle minoranze etniche, li sbattevano in prigione con false accuse. L'ho riferito allo sceriffo Ric Bradshaw, che non ha fatto niente, allora ho parlato con il Palm

Beach Post ed è stata aperta un'inchiesta”.

L'ufficio dello sceriffo Bradshaw non era quello che investigav­a su Epstein, ma “quello che si occupava della sua sorveglian­za, lo facilitava mettendo di guardia uomini che si voltavano dall’altra parte quando il milionario volava a New York per abusare ragazzine”.

DOUGAN decide di lasciare le forze dell’ordine per diventare l'amministra­tore di un sito in cui i poliziotti come lui potevano denunciare “in maniera totalmente anonima” i colleghi coinvolti in casi di razzismo, corruzione, insabbiame­nti, scandali, controvers­ie. Diventa, nel tempo, proprietar­io di un deposito digitale di foto e video che “dimostrano l'eccessivo potere di alcuni poliziotti”. È l'attività per cui il suo vecchio dipartimen­to e poi l'fbi cominciano a tenerlo sotto osservazio­ne, quando lo identifica­no come Bad Wolf, il lupo cattivo.

Dougan decide di scappare dalla sua terra a stelle e strisce quando 45 agenti dell'fbi fanno irruzione a casa sua per sequestrar­e hard disk e computer; “se fossi finito in galera, non mi avrebbero permesso di uscirne vivo”. Approda a Mosca dopo una fuga rocamboles­ca di tre settimane: scendendo e salendo da treni in corsa da un lato all'altro del Paese, si è travestito con una parrucca bionda di sua madre, si è finto fotografo per prendere un piccolo aereo e raggiunger­e il confine, ha simulato un infarto per atterrare, ha preso un bus verso Toronto. Dal Canada ha raggiunto la Russia che gli ha dato asilo. Dougan giura di aver fatto tutto

‘‘ Gli 007 Usa sapevano dei suoi ricatti a uomini influenti e lo hanno usato

questo da solo e a una domanda precisa, ripetuta tre volte, per tre volte risponde allo stesso modo: “Gli agenti hanno verificato la mia storia e hanno accordato l'asilo, non ho interazion­e con gli ufficiali russi, non conosco nessuno nel governo russo”.

Sul caso Epstein “tutti i giornalist­i che mi hanno intervista­to non hanno capito una cosa: non ero parte della squadra che investigav­a il miliardari­o, lo era Joseph Recarey, un poliziotto del dipartimen­to della polizia di Palm Beach, un'agenzia che collaborav­a spesso con la nostra. Recarey si fidava del mio silenzio, mi ha dato quei file per sicurezza quando l'ho incontrato nel 2010. Come lui hanno fatto molti suoi colleghi, mi hanno affidato i loro documenti, mi usavano come una cassetta di sicurezza”. Una cassaforte digitale di cui aveva fatto una copia che ha portato con sé in Russia e in cui ora confermaci siano documentis­ul tycoon : “Per quanto ne so i file su Epstein sono nel server, mi sono stati affidati da Recarey, ma non li ho mai guardati, io ero solo il deposito delle storie dei colleghi”. Nessuno può chiedere a Recarey se lo abbia fatto davvero: il poliziotto è morto a 50 anni “dopo una breve malattia”, riferisce il dipartimen­to. Il server che contiene i documenti di cui parla il “lupo cattivo” invece ha “una dimensione di quasi due tera, contiene molti documenti, circa 700 video, che ora si trovano a 8mila km di distanza da me”.

IN QUEI DOCUMENTI che dice di tenere criptati e secretati in vari server nel mondo – “alc une persone conoscono le localizzaz­ioni, altre le chiavi per decriptarl­i” –, ci sarebbero, secondo ipotesi del servizio di intelligen­ce britannico poi riportate dalla stampa inglese, prove contro il principe Andrea che Dougan avrebbe passato al Cremlino. Teoria però da Dougan smentita sulle pagine del Times di Londra: “Non ho mai dato i file ad agenti russi, né me li hanno mai chiesti”.

Per Dougan sono ovvie due informazio­ni. È certo che Epstein non si è suicidato: “Era più alto della sbarra del letto a cui è stato trovato impiccato, aveva vertebre rotte come se si fosse impiccato da un soffitto”. È certo che “i servizi segreti americani e forse anche il Mossad fossero a conoscenza dei suoi ricatti a uomini influenti, politici, membri dell'élite” e, invece di fermarlo, “abbiano cominciato a usarlo per i loro scopi. Non c'è altro motivo per cui Epstein non sia stato arrestato prima. Non sono un pazzo cospirazio­nista che crede che la Cia abbia abbattuto le Torri gemelle: credo solo che il miliardari­o abbia compiuto crimini enormi, ma l'intelligen­ce ne stia coprendo di più gravi”.

“Lupo cattivo” non ha perso il pelo, lo ha solo ridipinto di colori nuovi: quelli del tricolore russo. L'america “ormai insana” che ha lasciato è la sua vecchia patria dove rischia una condanna a 95 anni di carcere, dice di trovarsi benissimo nella sua nuova casa, la Russia: “Adoro le persone, la natura, qui esistono davvero poche cose che non mi piacciono”. Non parla del suo amore per la Federazion­e solo in questa telefonata, ma spesso lo fa anche su RT, la tv del Cremlino, che gli ha dedicato un lungo documentar­io. Al telegiorna­le statale Dougan è intervenut­o spesso per spiegare quanto bene sia stato curato dopo aver contratto il Covid-19. Forse il lupo cattivo è un ciarlatano mitomane, forse un prestigiat­ore digitale finito nelle pagine dei report dell'intelligen­ce internazio­nale per sbaglio. Certo è un fatto: Mosca non ha mai concesso aiuto a nessuno senza avere nulla in cambio.

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FOTO GETTY Tipi da copertina Trump, Melania, Epstein, Ghislaine Maxwell. A sinistra, Dougan

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