“Sì, su Calciopoli ho fallito: lo sport perse credibilità”
La Figc e la cupola in Serie A Franco Carraro L’allora presidente federale svela alcuni retroscena su Moggi, arbitri e Antimafia
“Lei ha scritto sul Fatto che nel 2006 io ho contribuito a infangare il calcio italiano tenendo nel cassetto un documento della Procura di Torino: non è vero, sono stato corretto. Ho però commesso errori, uno grande che ha rappresentato una concausa di Calciopoli”. A ottant’anni, Franco Carraro, tre volte presidente della Figc oltre che di Lega calcio e Coni, sembra avere molte cose da dire.
Calciopoli scoppiata per colpa sua?
Nel giugno del 2004 maturo la convinzione che Bergamo e Pairetto debbano essere avvicendati perché la carica di designatore non deve, a mio parere, superare i 5 anni. Senza dire nulla a nessuno, chiamo Collina. Gli propongo di smettere di arbitrare, di fare il designatore unico a partire dal 2004-2005 e gli dico che un giorno potrebbe diventare presidente federale. Collina mi dice di no, ma si rende disponibile per la stagione 2005-2006. Decido di pazientare e commetto l’errore fatale: Bergamo e Pairetto, non so come, vengono a sapere della mia iniziativa e tutto precipita. Consolidano il loro rapporto con Moggi, andando al di là del consentito, con tutto quel che ne consegue. Io avrei dovuto seguire la mia intuizione e, malgrado il no di Collina, cambiare comunque il designatore.
Presidente di Lega dal ’97, poi di Figc dal 2001. Che il calcio italiano in quegli anni abbia problemi seri è evidente, ma l’impressione è che lei, come tutti, faccia finta di non vederli.
In realtà, mai come in quegli anni c’è stata un’alternanza di club a dividersi gli scudetti. Per me il solo scudetto deciso da un grave errore di un arbitro è stato quello del ’97-98, di Juventus-inter e del rigore non assegnato.
Tuttavia le intercettazioni la sorprendono mentre supplica i designatori di non favorire troppo la Juve: le sembra normale?
Come ho detto, la situazione a un certo punto è peggiorata. Alla vigilia di una partita importante, Roma- Juve, sento che l’arbitro designato (Trefoloni, ndr) si è dato malato e mi preoccupo; anche perché al suo posto ne viene spedito uno non fra i migliori (Racalbuto, ndr).
E a Bergamo dico: “Almeno nei casi dubbi, mi raccomando: non si favorisca la Juve”.
Invece Roma-juventus finisce 1-2 nella bufera... Poi lei chiama Bergamo e dice: “Ma allora io non conto un cazzo”. Posso dirlo? Non ci fa una bella figura.
In realtà quella volta mi infuriai. Non c’era il Var e la prassi, su un fallo al limite dell’area, era dare punizione: non protestava nessuno. In quell’occasione invece l’arbitro diede il rigore e io, che ero alla televisione, mi imbestialii: con Bergamo volarono parole grosse.
Possibile che in Serie A ci fosse un solo arbitro di cui fidarsi: Collina?
No, ce n’erano altri. Ma certo, nel sentire popolare, da Trento ad Agrigento, Collina era visto come l’arbitro “senza retropensieri”.
Non abbiamo parlato del faldone di intercettazioni che la Procura di Torino le fece avere. E che lei tenne chiuso nel cassetto.
È falso. Nel febbraio 2006 mi chiamò Marcello Maddalena chiedendo di incontrarmi: era a Roma, ci vedemmo all’antimafia. La Procura di Torino, mi disse, aveva fatto una lunga indagine in cui la Juventus era coinvolta: non era stato riscontrato nulla di penalmente rilevante, l’inchiesta era stata chiusa ma il materiale veniva dato alla Figc affinché valutasse se i comportamenti dei tesserati avessero o meno violato la lealtà e la correttezza sportiva. Ebbene, in rispetto al principio della separazione dei poteri io consegnai il giorno stesso la documentazione al procuratore Palazzi. Non era compito mio esaminarla.
Ma la Procura Federale non mosse foglia. E lo scandalo scoppiò sui giornali quasi tre mesi dopo.
La documentazione era molto voluminosa. Questa domanda andrebbe comunque posta a Palazzi.
Un presidente costretto a chiedere lealtà ai designatori, con un vice, Innocenzo Mazzini, che trama con Moggi, un Ufficio Indagini affidato al generale Pappa, sodale di Moggi e un procuratore, Palazzi, che ha una
bomba in mano e sta a dormire. Sembra di vedere Antonio Conte quando allenava il Bari e il Siena: i giocatori vendevano le partite, a cominciare dal suo vice Stellini, e lui, dice, non si accorgeva di niente.
Paragone improprio. Quand’ero presidente del Milan, negli anni 60, persino Nereo Rocco, che certo non aveva il carattere di Conte, sapeva tutto dei suoi giocatori, della loro vita e delle loro famiglie. C’è frequentazione quotidiana, non era così per me in Figc.
Insomma, lei si assolve.
La giustizia penale e sportiva e la Corte dei Conti hanno stabilito che il mio comportamento è stato corretto. Ammetto però una sconfitta: Calciopoli minò la credibilità del calcio, che per uno sport è tutto e io ho certamente commesso errori.
A fine anno compirà 81 anni eppure è ancora alla ricerca di cariche nel calcio.
La Federcalcio, le leghe e le società fanno una cosa bellissima promuovendo il calcio paralimpico. Io sono semplicemente onorato di dare una mano.
La giustizia ha stabilito la mia correttezza, ma ammetto la sconfitta: lo sport perse credibilità