Il Fatto Quotidiano

L’AUTORE

- » Ettore Boffano

L’BEPPE FENOGLIO Nato nel 1922, è stato partigiano oltre che scrittore, drammaturg­o e traduttore. Alle forze partigiane si unisce nel ‘44 e solo nel ‘49 pubblica il primo racconto: “Il trucco”. Bisogna attendere il ‘52 e l’incontro con Calvino perché esca il romanzo “I ventitré giorni di Alba” (Einaudi). Dopo “Una questione privata” (‘63), del ‘68 è il celebre “Il partigiano Johnny”, considerat­o uno dei romanzi più importanti della Resistenza. Da citare le raccolte di racconti: “La malora” (‘68) e “Racconti partigiani” (‘76) ultima volta di Beppe Fenoglio sulle alte colline, le top hills del suo Johnny, fu nel settembre del 1962. Demetrio Veglio, il leggendari­o albergator­e del “Bellavista” di Bossolasco, sull’alta Langa che sovrasta Alba e guarda alla Liguria, la raccontava ogni volta, commuovend­osi, ai giornalist­i saliti lassù per parlare del partigiano-scrittore della Malora e de I ventitré giorni della città di Alba. Accarezzav­a il panno verde del suo antico biliardo, volgeva lo sguardo verso un finestrone aperto sul crinale coperto dai boschi, poi lasciava che le parole si intreccias­sero con la malinconia. “L’estate più brutta fu quella del 1962, quando era venuto Beppe: aveva già il cancro ai bronchi e l’aria di Bossolasco gli servì a niente”.

LO SCRITTORE in quei giorni non aveva ancora capito, sperava sempre di farcela, e continuava a dare nomi meno terribili a quella brutta bestia che gli divorava il respiro: pleurite, asma bronchiale, principio di tubercolos­i, anche se il suo sguardo e i suoi pensieri si erano fatti più scuri. Il 15 ottobre, rientrato ad Alba, scrisse quella che forse è la sua ultima lettera. A Italo Calvino, l’intellettu­ale dell’einaudi che lo aveva convinto a mettere assieme i suoi racconti, le prove d’a ut or e: “Caro Italo, grazie della tua lettera vecchia ormai di settimane. La vedo, purtroppo, appena ora, rientrando da oltre un mese di confino in alta collina. Mi è infatti sopravvenu­ta una molto seria affezione polmonare per la cui risoluzion­e occorreran­no un bel po’ di mesi...”.

Il “confino”, parola negativa e volgare del fascismo, si era impadronit­o di quel “posto delle fragole” che un tempo aveva alimentato la sua voglia e le sue visioni di Langa. Fenoglio morì nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1963 in ospedale: il funerale, “senza fiori, soste né discorsi” come aveva lasciato scritto, fu laico, ma la breve orazione funebre toccò invece a un prete, uno dei suoi amici più cari, il teologo don Natale Bussi che da bambino, a Santo Stefano Belbo, aveva conosciuto e giocato con Cesare Pavese.

Tornare oggi a Bossolasco, nella Langa dell’enogas tromia che l’ha fatta sempre più ricca, dei filari del Barolo e del Barbaresco e poi, più in alto, man mano che le colline diventano quasi mezza montagna, degli appezzamen­ti squadrati e scoscesi dei noccioleti, nuovo oro di queste terre, ha per forza i sentimenti dello struggimen­to e del passato.

Anche Demetrio non c’è più, scomparso a 101 anni nel 2016: il suo “Belvedere” tira avanti e in altre mani, il paese delle rose e dei pittori è sempre bello, dall’alto dei suoi 800 metri, con le vecchie case di pietra restaurate e le ville che, anche negli anni del boom economico, non hanno conosciuto gli scempi dei geometri impazziti. I capannoni delle fabbriche del fondo val

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