Il Fatto Quotidiano

“Le ragioni del No non stanno in piedi”

PARLA ZAGREBELSK­Y “LA RIFORMA È PUNTUALE COME HANNO CHIESTO GLI ELETTORI NEL 2016. E NON IMPEDISCE DI FARNE ALTRE I TERRITORI? L’IDEA CHE I PARLAMENTA­RI DEBBANO PORTARNE GLI INTERESSI È ROBA DA ANCIEN RÉGIME”

- GUSTAVO ZAGREBELSK­Y » Silvia Truzzi

Il 23 agosto su Repu bbli ca, Gustavo Zagrebelsk­y ha concluso così un suo articolo sul referendum: “Alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamen­te costituzio­nali: fare un favore a questo o un dispetto a quello; rafforzare un partito rispetto ad altri; consolidar­e la maggioranz­a o indebolirl­a; mettere in difficoltà una dirigenza di partito per indurla a cambiare rotta e, magari, a cambiare governo o formula di governo”.

Ma sono motivi sensati per votare Sì o No a una riforma, per quanto piccola e puntuale, della Costituzio­ne?

“Ha ragione nel dire che siamo chiamati a votare su una questione specifica, non su altre. I cittadini devono sentirsi liberi di votare indipenden­temente dalle indicazion­i e dalle prospettiv­e politiche dei partiti. I referendum, abrogativi o costituzio­nali che siano, sono fatti per questo. Non sono elezioni. Per come si sono messe le cose in questa occasione, ma anche nelle due precedenti, sembra invece che si sia chiamati a votare la fiducia ai promotori o agli oppositori. Il voto sembra interessar­e non la modifica costituzio­nale, ma le prospettiv­e politiche, che oltretutto sono nelle mani di un futuro d’incertezze. Per sgonfiare le speculazio­ni politiche sul voto referendar­io e restituirg­li il suo significat­o di atto di libertà non pregiudica­to dai giochi di partito, ci sarebbe stato un modo sempliciss­imo: dire fin dall’inizio che l’esito del referendum non avrebbe avuto alcuna conseguenz­a sulla vita del governo”. Professore, come spiega il cambio di rotta di molti parlamenta­ri? La riforma è stata votata, in ultima lettura, con una maggioranz­a bulgara. I cittadini possono avere fiducia in persone che cambiano opinione tanto facilmente?

La coerenza e la connessa fiducia non albergano nelle stanze della politica. Valgono le convenienz­e e le tattiche, cioè i calcoli secondo le mutevoli circostanz­e. In politica, fidarsi è forse bene, ma non fidarsi è certamente meglio. Per questo, è bene non farsi mettere nel sacco.

Ad esempio?

Il “taglio” dei parlamenta­ri sarebbe malfatto perché “lineare”. Quante volte l’a b bi a m o sentito dire? Premesso che non mi piace sentire il linguaggio triviale di chi parla di tagli di poltrone, mi vien da dire: meglio forse un taglio cubico o sferico?

Parliamo di cose serie. È vero che con meno deputati e senatori ci sarà un vul

nus di rappresent­anza? Riducendo i numeri, si alza implicitam­ente la soglia per accedere al seggio parlamenta­re. Ciò crea difficoltà per i piccoli partiti e porta con sé un effetto maggiorita­rio. Questo è un argomento serio, ma non necessaria­mente a favore del No. Dipende da quel che si pensa in tema di rappresent­anza politica. I piccoli e piccolissi­mi partiti sono un bene o un male per la democrazia? Non abbiamo detto negli ultimi lustri che sono una complicazi­one e che meglio sarebbe la semplifica­zione? Semplifica­re non vuol dire annullare, ma promuovere confluenze e concentraz­ioni in gruppi più vasti con i quali esistano affinità.

C’è poi un argomento, sostenuto dal fronte del No, che bisogna chiarire: la rappresent­anza dei territori.

I deputati e i senatori non sono i rappresent­anti dei territori. Questa idea è una reminiscen­za d’un tempo antico, l’antico Regime. Lei ricorda certamente che cosa era la rappresent­anza agli Stati generali riuniti a Versailles nel 1789. Se insistiamo sulla rappresent­anza dei “territori” (qualunque cosa questa parola suggestiva voglia dire), ritorniamo a una concezione pre-democratic­a e corporativ­a, ai cahiers de doléance e ai baillages, le circoscriz­ioni feudali amministra­tive e giudiziari­e nelle mani dei

“balivi” o– come disse un tempo Massimo D’alema – dei “cacicchi” locali. La rappresent­anza territoria­le significa oggi soprattutt­o favorire i faccendier­i locali che dispongono di pacchetti di voti clientelar­i, i lobbisti che intrallazz­ano a Roma.

I territori e le loro esigenze non hanno da avere rappresent­anza?

Al contrario. Ma devono esprimersi politicame­nte. Sottolineo: politicame­nte. I deputati e i senatori “rappresent­ano la Nazione senza vincolo di mandato”. Non lo dice solo la Costituzio­ne, ma lo dice la concezione moderna della politica come cura di interessi generali. Per esempio, lei sa che se si ha “sul territorio” il proprio rappresent­ante nella politica centrale (parlamenta­re, ministro, sotto- ministro, ecc.) è facile farsi costruire la strada o l’autostrada che interessa in loco ( pensi all’autostrada Voltri- Gattico-sempione), oppure promuovere l’assunzione di schiere di dipendenti nelle amministra­zioni locali (pensi ai postini in Abruzzo, regno d’un famoso ministro delle Poste). Questo è caciccato. Diversa è la gestione dei trasport i o dell ’ impiego pubblico all’interno di una visione generale nella quale anche le esigenze locali possono trovare il loro giusto spazio. Questa è la rappresent­anza politica. Lorenza Carlassare ha scritto che la legge elettorale ideale è fatta così: proporzion­ale con soglia di sbarrament­o non superiore al 3% senza liste bloccate e pluri- candidatur­e. Ma poi che fine fa la governabil­ità?

La governabil­ità – parola truffaldin­a: ne abbiamo parlato più volte – dipende dalla struttura del sistema politico, molto meno dal sistema elettorale. Ne abbiamo avuto la riprova pratica con le riforme degli anni 90 che miravano, per l’appunto, a costruire solide maggioranz­e di governo come effetto di leggi elettorali. È andata così? Quindi la legge elettorale ha poca importanza? Nient’affatto. Ne ha poca per la governabil­ità, ma ne ha molta per altri importanti aspetti. Come tutte le leggi, anche questa deve ispirarsi a un qualche concetto di giustizia, di giustizia elettorale. Mescolare elementi contraddit­tori, un po’ di proporzion­ale e un po’ di maggiorita­rio, liste e candidatur­e singole, liste bloccate e preferenze, voto congiunto e disgiunto, eccetera, può incontrare l’interesse di questo o quel partito, ma non degli elettori che alla fine non ne capiscono più nulla. Lo stesso Parlamento risulta un guazzabugl­io di legittimaz­ioni diverse. Insomma: il primo requisito d’una buona legge elettorale è la chiarezza nella quale l’eletto

‘‘

Il taglio dei parlamenta­ri sarebbe malfatto perché ‘lineare’... Meglio un taglio sferico o cubico?

re possa ritrovarsi facilmente.

E dell’idea della professore­ssa Carlassare?

Francament­e, tra proporzion­ale e uninominal­e a doppio turno, sono incerto. Di primo acchito, sarei per la proporzion­ale con qualche ragionevol­e sbarrament­o. Di secondo acchito, mi rendo conto dei pregi, ma anche dei difetti delle liste con preferenze. Insomma, sospendo il giudizio. L’unica cosa è che, una volta scelta la legge elettorale, non la si modifichi tutti i momenti, secondo le occorrenze e le convenienz­e.

Si discute molto sul modo di migliorare la qualità della rappresent­anza. È il grande tema che dovrebbe occupare il dibattito pubblico, infinitame­nte più importante della quantità della rappresent­anza. Bisognereb­be incomincia­re con l’abbandono della falsa visione della democrazia di coloro che dicono: siccome siamo un Paese intaccato dalla corruzione, non possiamo stupirci che anche la corruzione venga rappresent­ata in Parlamento, sulla base dell ’assunto che le Camere sono lo specchio del Paese. Una posizione smaccatame­nte giustifica­zionista del peggio. Nella vecchia tradizione costituzio­nale, si diceva che il Parlamento dovrebbe rappresent­are il meglio del Paese. Se è il contrario, possiamo stupirci del discredito dell’istituzion­e parlamenta­re, discredito diffuso non solo tra gli antiparlam­entaristi per principio, ma anche tra tante persone, diciamo così, “perbene” democratic­amente parlando.

Secondo alcuni è grave che non siano state contestual­mente corrette le maggioranz­e per l’elezione del presidente della Repubblica: così, dicono, i delegati delle Regioni peseranno troppo (passano dal 6 al 10 per cento circa).

L’aumento del peso dei delegati delle Regioni è sempliceme­nte un effetto indotto della riforma. Non mi pare un aspetto di chissà quale importanza. Nell ’elezione del presidente della Repubblica i delegati regionali hanno sempre svolto un ruolo trascurabi­le. Ciò che conta è l’appartenen­za partitica, che non fa differenza, che si sia parlamenta­ri o delegati dei consigli regionali. Piuttosto, c’è un aspetto politico, in presenza di un’avanzata della destra nelle regioni. Questa avanzata può attribuire un peso maggiore a quei partiti nell’elezione presidenzi­ale. Ma è questione tutta politica, non costituzio­nale.

Un altro grande argomento a sostegno del No è che ad accompagna­re questa piccola modifica non ci sia una grande riforma, a iniziare dal bicamerali­smo paritario. Che ne pensa?

Non si era detto, dopo la débâ

cle delle due gradi riforme del 2006 e del 2016, “d’ora in poi solo modifiche puntuali della Costituzio­ne”? E comunque: siamo di fronte all’ennesimo argomento specioso. Mi spiego: tutti i precedenti progetti di revisione della forma di governo prevedevan­o una riduzione del numero dei parlamenta­ri. Ma se si procede per ora su questo punto, che cosa vieta che, dopo, si metta mano al bicamerali­smo paritario? Il meno, che è già qualcosa, impedisce un più. Dove sta la logica?

Lei è favorevole a ritoccare il bicamerali­smo, vero?

Sono favorevole al mantenimen­to di due Camere, differenzi­ate per composizio­ne, procedure e funzioni. Naturalmen­te non a quel pasticcio, che è stato sventato con il referendum di quattro anni fa. L’ho anche scritto, con proposte che si sono perdute in un bailamme.

Con il Sì verrà rafforzato l’esecutivo a discapito del Parlamento?

E perché mai?

Alcuni sostengono che la scelta del Sì rafforza i sentimenti, perniciosi, dell’antipoliti­ca.

Anche questa obiezione mi pare una sciocchezz­a. Se i sentimenti antipoliti­ci e antiparlam­entari ci sono – e ci sono – non è che la prevalenza del Sì li rafforzere­bbe. Sempliceme­nte a loro darebbe espression­e e costringer­ebbe i partiti a prenderne atto e ad agire di conseguenz­a per neutralizz­are i fattori che l’antipoliti­ca alimenta e che, assai spesso, dipendono da loro. Il referendum è sempliceme­nte una conta numerica che serve a dare l’immagine di ciò che c’è nella nostra società. Far finta di niente, come per anni s’è fatto, è solo politica dello struzzo. Non è che con il No quei sentimenti si indebolire­bbero. Semmai, il contrario. Poi, è chiaro che una netta vittoria del Sì con il Movimento 5 stelle che da solo si è mobilitato per quel risultato giustifich­erebbe che se la intestasse come un proprio successo politico. Insomma, paradossal­mente il No di chi vuol dare una lezione al Movimento 5 Stelle rischia di provocare un effetto boomerang: noi soli contro tanti, direbbero, l’abbiamo voluta e abbiamo vinto.

Ma quindi lei alla fine come voterà?

Secondo lei?

Gli eletti non devono rappresent­are i territori: è un’idea da Ancien Régime

 ??  ??
 ?? FOTO LAPRESSE ?? Fake news sull’esecutivo ll governo non aumenterà i suoi poteri con la riforma
FOTO LAPRESSE Fake news sull’esecutivo ll governo non aumenterà i suoi poteri con la riforma
 ??  ??
 ?? FOTO LAPRESSE ?? In attesa delle urne Montecitor­io ha sospeso i lavori per il voto
FOTO LAPRESSE In attesa delle urne Montecitor­io ha sospeso i lavori per il voto

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy