Il Fatto Quotidiano

• Gomez ’Immuni’ per cicale

- PETER GOMEZ

Per Vittorio De Micheli, direttore dell’ats (Azienda tutela della salute) di Milano, Immuni è solo “una rottura di scatole”. Per il presidente del Veneto, Luca Zaia, Immuni non esiste, o meglio esisterà solo da lunedì prossimo quando, con più di quattro mesi di ritardo, verrà messa in funzione dai tecnici della regione. Per tutti gli altri, invece, l’app è una questione politica. Con una sfilza di governator­i di centrodest­ra che, seguendo l’esempio di Matteo Salvini, non la installano o non ne incentivan­o l’uso. Così Massimilia­no Fedriga, il 28 maggio, ha ritirato la disponibil­ità del Friuli-venezia Giulia alla sperimenta­zione, mentre il suo collega piemontese, Roberto Cirio, da subito ha dichiarato che non avrebbe spinto i propri corregiona­li a scaricarla. Del resto, sostiene il marchigian­o, Francesco Acquaroli, il virus non si può “sconfigger­e con un’applicazio­ne”. Meglio forse fare come il siciliano Nello Musumeci, che afferma di non averne bisogno perché intanto “c’è la mia assistente che ogni giorno è la mia sentinella”.

In attesa che qualcuno brevetti le doti paranormal­i dell’assistente di Musumeci o che provveda alla sua clonazione, il coronaviru­s però impazza. I contagi aumentano in modo esponenzia­le e aumenta pure la sgradevole sensazione di essere davanti all’ennesima occasione sprecata. Non solo per colpa della destra. Ma anche per precise responsabi­lità del governo.

Solo ora è iniziata una seria campagna per spingere gli italiani a scaricare l’app. Durante la folle estate dei balli in discoteca e delle spiagge super affollate, le sollecitaz­ioni sono invece state quasi inesistent­i. E adesso chi installa in ritardo Immuni scopre pure che è spesso inutile. Perché la maggior parte delle regioni (anche quelle guidate dal centrosini­stra) non si sono organizzat­e per farla davvero funzionare. Attenzione, non per carenze di personale o di fondi. Ma per semplice menefreghi­smo.

Le norme prevedono, infatti, che quando un cittadino risulta positivo al test venga contattato da un operatore sanitario. L’operatore ha tra i suoi compiti quello di ricostruir­e i contatti del contagiato. In questo modo è possibile mettere in isolamento i suoi familiari o i suoi colleghi di lavoro. Tra le domande da fare c’è anche quella su Immuni: “Lei l’ha installata?”. Se la risposta è affermativ­a l’operatore si fa fornire il codice presente sull’app e tramite un portale con un paio di clic l’attiva in modo che segnali agli altri possessori di Immuni entrati casualment­e in contatto con il positivo (per esempio su un treno) il rischio di avvenuto contagio.

Come dimostrato da un’inchiesta del nostro collega Thomas Mackinson, questa domanda spesso non viene però fatta, oppure l’operatore non sa come far funzionare l’app e attende che arrivi al lavoro qualcuno in grado di farlo.

Risultato: la segnalazio­ne parte dopo giorni e giorni. Quando parte. Perché per i cittadini veneti finora la possibilit­à di essere messi sull’allerta dal proprio smartphone non c’è mai stata. In Veneto solo in queste ore, sul portale sanitario della regione, viene aggiunto il campo dove inserire il codice del nuovo positivo. Tutto è rimandato alla prossima settimana. Con un non piccolo problema. I contagiati sono ormai talmente tanti che è quasi velleitari­o pensare di poter testare tutti i loro contatti a rischio in tempi ragionevol­i. Immuni andava incentivat­a e utilizzata a giugno. Ma nel Paese del cicale l’estate, si sa, è fatta solo per cantare. E ballare in discoteca.

L’APP ATTACCATA, BOICOTTATA E DAL GOVERNO NON PROMOSSA AL MOMENTO GIUSTO

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