Raggi in Appello: perché fu assolta e che cosa rischia
La sentenza forse già lunedì. Ecco perché fu assolta
La prossima settimana potrebbe essere decisiva per Virginia Raggi. Lunedì si terrà in Corte di Appello il processo alla sindaca di Roma. Accusata di falso, è stata assolta in primo grado con formula piena, perché il fatto non costituisce reato. Tra tre giorni, dopo le discussioni della Procura generale e delle difese, i giudici quindi potrebbero già arrivare a sentenza, a meno che la Corte non decida di risentire qualche testimone. Resta uno snodo fondamentale per la sindaca, visto che incide direttamente sulla sua ricandidatura alla guida del Campidoglio. Il Codice etico del M5S, infatti, considera “condo tta grave e incompatibile con la candidatura e il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del M5S la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo”. Come il Fatto ha raccontato nei giorni scorsi, nel M5S si considera questa norma troppo rigida rispetto alle esperienze maturate in questi anni. Prova ne è il caso di Chiara Appendino, la sindaca di Torino condannata per falso, che ha appena annunciato di non ricandidarsi nel 2021. Il capo politico Vito Crimi ha spiegato come si debba valutare “l’attualità” del Codice etico, che vieterebbe ad Appendino anche di ricoprire incarichi nella futura segreteria M5S.
VALE LO STESSO per Virginia Raggi? Il Movimento che ribadisce il suo sostegno al bis della sindaca si sta interrogando, consapevole che la Raggi potrebbe decidere di candidarsi comunque, anche in assenza di
“deroghe” al Codice etico. Per ora in Campidoglio si dicono “sereni”, forti di un’assoluzione incassata in primo grado e con formula piena.
Al centro della vicenda c’è la nomina (poi revocata) di Renato Marra, fratello del più noto Raffaele (ex braccio destro della Raggi) a capo del dipartimento Turismo. I pm romani sono convinti che la sindaca abbia dichiarato il falso al Responsabile anticorruzione del Campidoglio – che doveva rispondere all’anac – quando ha affermato che nella nomina di Renato Marra a direttore del Turismo, il fratello Raffaele – allora capo del Personale – aveva avuto un ruolo di “mera e pedissequa esecuzione delle determinazioni da lei assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali”. Una menzogna, secondo i magistrati, tanto che hanno chiesto una condanna a dieci mesi. Di diversa opinione Roberto Ranazzi, il giudice che l’ha assolta: “I fratelli Marra – scrive nelle motivazioni della sentenza – hanno chiaramente agito all’insaputa del sindaco, allo scopo di ottenere per Marra Renato un ruolo da dirigente di fascia stipendiale superiore”. Ma un errore la sindaca lo ha commesso: “L’affermazione che ilmarra non ha partecipato alla fase istruttoria dell’interpello per le nomine da dirigente amministrativo non corrisponde alla realtà”. Tuttavia “l’imputata, in sede di esame, (...) l’ha spiegata come deformazione professionale: avrebbe ragionato da avvocato più che da Amminis tratore”. Durante il processo in primo grado, tra le prove, l’accusa annoverava una riunione del 26 ottobre 2016, durante la quale, secondo i pm, Raffaele Marra avrebbe gestito la nomina del fratello. Fu un incontro “informale” a cui parteciparono l’allora assessore Adriano Meloni
In caso di condanna Il Codice etico esclude incarichi, ma nel Movimento è in corso una riflessione dopo il caso Appendino