Il Fatto Quotidiano

Gli opposti isterismi

- Marco Travaglio

Ieri mattina, appena due giorni dopo l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm anti-covid, già dal Pd e dal ministero della Salute si levavano gridolini isterici su nuovi vertici di governo per nuovi giri di vite assortiti. Una prova d’orchestra felliniana, degno p e n

dant agli opposti isterismi delle destre No Mask e dei giureconsu­lti No Dpcm. E che s’è fatta ancor più cacofonica nel pomeriggio, quando i dati sui contagi giornalier­i hanno superato la soglia psicologic­a di 10mila. Per fortuna, Palazzo Chigi non pare intenziona­to a varare nuove misure a breve: prima si misurano gli effetti delle nuove misure e della loro osservanza da parte dei cittadini, riscontrab­ili non prima di 10 giorni; poi si vede. Annunciare, invocare, far trapelare ora nuove strette serve solo ad aumentare il caos e a seminare il panico, oltre a svalutare i divieti e le raccomanda­zioni del Dpcm di martedì. Forse sarebbe il caso di ripristina­re ogni pomeriggio la conferenza stampa della Protezione civile e del Cts che ci accompagnò nel lockdown: molti le imputavano un eccesso di allarmismo, invece era (e sarebbe) un’ottima occasione per fare il punto sulla pandemia e leggere correttame­nte i dati. Che, visti così, dicono tutto e il suo contrario. Viene spontaneo il confronto con quelli di sette mesi fa, che però è fuorviante. Il 21 marzo, giorno del picco massimo, i nuovi positivi erano 6.557: ieri 10.010.

Stiamo dunque peggio oggi? Al contrario: tutti gli altri parametri dicono che stiamo molto meno peggio. Il 21 marzo i tamponi furono 26 mila, ieri erano 150 mila, il sestuplo: più tamponi si fanno più positivi si trovano (il rapporto tamponi/positivi era del 25% e oggi è del 6,6). Il che significa che i positivi sommersi, all’epoca, erano molti più di oggi, quando il virus pare un po’ meno diffuso di allora. Ma allora si testavano solo i sintomatic­i: ora anche gli asintomati­ci. Che oggi sono la stragrande maggioranz­a dei positivi: infetti e contagiosi, ma non malati. I dati certi su cui giudicare e modulare le misure di contrasto sono altri. Anzitutto i morti: 793 il 21 marzo, 55 ieri (in forte calo rispetto a giovedì). E poi il numero di ricoverati (cioè di sintomatic­i malati e bisognosi di cure): sette mesi fa 17.708, di cui 2.857 in terapia intensiva; ieri 6.178, di cui 638 in terapia intensiva. Reparti Covid e rianimazio­ni sono lontani dal rischio di saturazion­e, almeno in media (52% il 21 marzo, 9% oggi, anche se alcuni sono semipieni e altri semivuoti). Ma siccome i ricoveri aumentano del 7-8% al giorno e la crescita è esponenzia­le, se non s’inverte la rotta si può arrivare in un mese all’overbookin­g. E qui si apre il capitolo delle colpe. Cioè di chi ha fatto e non ha fatto cosa da maggio a oggi.

Il governo si era impegnato a riaprire le scuole e l’ha fatto, anche se poi i ritardi sui trasporti della ministra Demicheli, delle Regioni e dei Comuni han messo a rischio arrivi e partenze. Il governo aveva promesso di raddoppiar­e i posti letto di terapia intensiva e ha fornito i fondi necessari, oltre alle attrezzatu­re tramite il commissari­o Arcuri. Ma molte Regioni hanno dormito: malgrado i 3.059 ventilator­i polmonari per terapie intensive e i 1.429 per sub-intensive già inviati da Roma, hanno attivato appena 1.500 posti letto, mentre gli altri 1.600 disponibil­i restano sulla carta. Arcuri ha pronti altri 1.500 ventilator­i, ma attende che qualcuno glieli chieda, possibilme­nte per usarli. Tra le maglie nere, oltre alla solita Lombardia ( che non riesce neppure a comprare i vaccini antinfluen­zali), svetta la Campania del sedicente sceriffo De Luca, tutto chiacchier­e e distintivo: “Prima del Covid – ricorda il ministro Boccia – aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo con Arcuri ha inviato 231 ventilator­i per le terapie intensive e 167 per le sub-intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566”. Così molti ospedali campani sono già al collasso e Don Vicienzo, anziché rivolgere il lanciafiam­me contro se stesso, lo dirige sugli studenti, chiudendo scuole e università senza neppure avvertire il sindaco di Napoli. Lui che un mese fa voleva riaprire gli stadi. E trova a difenderlo pure Zingaretti. Altri sgovernato­ri, con la stessa (il)logica, insistono sulla didattica a distanza (già prevista dalla legge in casi di necessità) per sfollare i trasporti pubblici e coprire la propria e altrui incapacità di potenziarl­i e organizzar­li meglio: sono gli stessi che a luglio riaprivano le discoteche, ad agosto si opponevano alle proposte dell’azzolina sugli ingressi scaglionat­i nelle scuole e a settembre volevano riempire gli stadi di tifosi. A tutti sfugge un dato elementare: chiudere le scuole durante il lockdown aveva senso perché gli studenti restavano in casa, evitando i contagi attivi e passivi; ma senza lockdown chi non sta a scuola va a spasso o si assembra in locali molto meno sicuri delle aule (lì la percentual­e di contagi è 0,08%). E aumenta le possibilit­à di contagiare e di essere contagiato.

Quindi, per favore, nervi saldi e basta isterie fondate su letture sbagliate dei dati. Il governo attenda qualche giorno per vedere se il Dpcm funziona, tenendo pronte misure più severe, ma sempre graduate all’e volversi della pandemia. E le Regioni facciano finalmente ciò che devono, stringendo le maglie del Dpcm dove serve, anche con zone rosse o arancioni nelle città e province più infette. Se poi qualcuna continua a dormire, si spera che stavolta scatti il commissari­amento.

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