Il Fatto Quotidiano

La Nigeria si fa finanziare la causa a Eni

- Gianni Barbacetto

Il Tribunale distrettua­le del Delaware ha dato ragione all’eni, che chiedeva alla società Drumcliffe di esibire i documenti sui suoi accordi con la Nigeria. La compagnia petrolifer­a italiana si è appellata a una procedura americana (la 1782) che obbliga un’azienda Usa a mettere a disposizio­ne documenti che possano servire a un’altra azienda per difendersi in procedimen­ti all’estero. Eni e i suoi manager sono imputati di corruzione internazio­nale a Milano con l’accusa di aver pagato una tangente da 1,092 miliardi di dollari per ottenere la licenza d’esplorazio­ne del campo petrolifer­o Opl 245 in Nigeria. Lo Stato africano si è costituito parte civile e il legale che lo rappresent­a, l’avvocato Lucio Lucia, ha chiesto 1,092 miliardi di dollari come risarcimen­to del danno. La Repubblica federale della

Nigeria ha fatto finanziare le sue cause legali contro Eni da una società del Delaware, la Drumcliffe Partners Llc, che ha messo a disposizio­ne 2,750 milioni di dollari, in cambio di una percentual­e sulle somme che saranno recuperate nelle cause. Il mandato è stato concesso nel 2016 dall’attorney general e ministro della Giustizia Abubakar Malami allo studio legale Johnson & Johnson di Lagos, che sarà compensato con il 5 per cento delle somme che riuscirà a recuperare. Nel 2018, Johnson & Johnson ha stipulato a sua volta un contratto con una società del Delaware collegata a Drumcliffe, Poplar Falls Llc, riconoscen­dole un compenso del 35 per cento sui fondi recuperati. Ipotizzand­o 1 miliardo di risarcimen­to in caso di condanna, il 5 per cento (dunque 50 milioni) andrà a Johnson & Johnson. Agli americani andrà il 35 per cento, dice il contratto poi siglato da Poplar

Falls con Johnson & Johnson. Sarebbe una cifra tra i 300 e i 400 milioni di dollari. Sproposita­ta e indizio di rapporti opachi, secondo Eni, che ha chiesto ai giudici del Delaware di disvelare i contratti siglati con i nigeriani: “Il fatto che un fondo di investimen­to privato Usa possa avere finanziato una causa miliardari­a contro Eni in cambio di un ritorno economico enorme e sproporzio­nato”, aveva dichiarato Eni, “genera interrogat­ivi dalle implicazio­ni estremamen­te gravi e che meritano risposte chiare”.

ORA IL GIUDICE

distrettua­le Maryellen Noreika ha deciso: Drumcliffe dovrà esibire i documenti dell ’accordo con i nigeriani. Comunque, benché il contratto non sia chiarissim­o, è più probabile che Poplar Falls possa pretendere il 35 per cento non del totale, ma di quel 5 per cento riconosciu­to a Johnson & Johnson. Il 35 per cento di 50 milioni sarebbe attorno ai 17 milioni, a cui si aggiungere­bbe, per contratto, il 250 per cento del finanziame­nto di 2,750 milioni, ovvero quasi 5 milioni: in totale, circa 22 milioni di dollari. Una cifra molto alta, ma lontana dai 400 milioni ipotizzati.

Il compenso a Drumcliffe non è piaciuto neppure a Re:common, la ong che per prima ha denunciato quella che ritiene una gigantesca corruzione internazio­nale che ha tolto grandi risorse al popolo nigeriano. “Re:common ritiene legittime alcune delle preoccupaz­ioni sugli accordi di finanziame­nto e che sia giusto criticare l’operato dell’attorney general della Nigeria, che non ha chiarito tali accordi. Ma”, aggiunge, “la teoria Eni del complotto è fuori discussion­e, poiché in Delaware l’azienda non ha presentato alcuna prova di presunte forze oscure al lavoro dietro le quinte”.

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L’ad Claudio Descalzi
ANSA Eni L’ad Claudio Descalzi

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