Il Fatto Quotidiano

TUTTO NASCE DAL CASO DI UN CARABINIER­E

- A. MASC.

La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite sull’utilizzabi­lità delle intercetta­zioni ” a strascico” nasce dal ricorso di Vito Cavallo, ex comandante del Nucleo operativo radio mobile dei carabinier­i di Zogno, imputato, tra l’altro, per falso, peculato, rivelazion­e e uso di segreti d’ufficio. Il 31 gennaio 2017 Cavallo è stato condannato a 6 anni e mezzo di carcere e sospeso dall’arma per la legge Severino. In Appello, nel 2018, pena ridotta a quattro: viene assolto o per prescrizio­ne o nel merito per quasi tutte le imputazion­i. La condanna resta per peculato e falso. La difesa ricorre in Cassazione e pone il problema dell’inutilizza­bilità delle intercetta­zioni, “validate” dai giudici di merito, perché erano state autorizzat­e per fatti diversi. Intervengo­no le Sezioni Unite dato che sul tema le varie sezioni si erano espresse con sentenze opposte. A novembre 2019, nel caso di specie, la Cassazione annulla con rinvio la condanna per peculato e falso e stabilisce il principio che non si possono utilizzare le intercetta­zioni per un reato diverso da quello per cui sono state autorizzat­e, se non in caso di connession­e con l’originario e autonomame­nte intercetta­bile, oppure in caso il reato “emergente” preveda l’arresto in flagrante. A marzo Cavallo è stato assolto in Appello bis.

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