Esther la Peste, bimba di destra e famiglia hippy
Bimba di destra, papà hippy
Di progressisti simpatici ne esistono pochi, soprattutto in letteratura: sulla pagina funzionano meglio i misantropi, i misogini, le bisbetiche domate e no... I conservatori – almeno sulla carta – fanno morir dal ridere. È il caso anche di Esther Dahan, l’ultima enfant ter
rible della narrativa francese, protagonista de La piccola conformista.
Di progressisti simpatici ne esistono pochi, soprattutto in letteratura: sulla pagina funzionano meglio i misantropi, i misogini, le bisbetiche domate e no... I conservatori– almeno sulla carta – fanno morir dal ridere. È il caso anche di Esther Dahan, l’ultima
enfant terrible della narrativa francese, protagonista de
La piccola conformista di Ingrid Seyman, un gioiellino di romanzo, in uscita giovedì con i tipi di Sellerio.
BAMBINA NELLA MARSIGLIA
degli anni Settanta- Ottanta, Esther è una “incorreggibile reazionaria”: intelligente e smaliziata, cinica dall’età di tre anni, aspirante parricida dall’ età di dieci anni, studentessa modello da sempre, con una passione per l’ortografia e la sintassi, il cui sogno da grande è quello di divorziare...
Ordine, ordine, ordine: purtroppo per lei, però, è “nata da destra in una famiglia di sinistra”, figlia di ex hippy, Elizabeth e Patrick, lei atea, lui ebreo, che o si amano (fisicamente) o si odiano ( fisicamente), lanciandosi piatti e caraffe da una stanza all’altra. I signori Dahan, sempre sull’ orlo del divorzio, ripiegano tuttavia sul piano B: sfornare un altro pargolo, Jérémy, indisciplinato, irrequieto, somaro, dispettoso; finalmente un vero rivoluzionario dentro casa. Tocca a lui, infatti, il privilegio della circoncisione, con gran disappunto della sorella, che, per ripicca, decide di farsi battezzare, sperando al contempo in un infarto del padre.
Seyman, giornalista e regista, è al debutto nella narrativa ma vanta una penna corrosiva, urticante e dispensa iniezioni di humour nero manco fosse un’austriaca. Si ride molto, in questo “libro di Esther”, la peste, blasfemo e cupo, comico e tragico, lieve e amaro. Le disavventure della piccola protagonista ( e del fratello scemotto) iniziano con l’iscrizione a una scuola cattolica, tra compagni di classe ricchi e fascisti, già a 9 anni, figli di fan della Le Pen, baciapile, razzisti e antisemiti: così Esther un giorno è osannata – per la sua conversione al cristianesimo – e un giorno detestata, rincorsa fuori da scuola per lanciarle sassi addosso, una volta scoperte le simpatie sinistrorse dei genitori. La trama di bugie che la bambina ha fin lì imbastito per essere accettata, almeno tra i banchi, si disfa all’istante, così come il delicato equilibrio familiare.
Questa è una storia di radici fragili, rizomi avvizziti, bulbi abortiti; ciascuno si sente (è?) fuori posto, storto, non integrato, disintegrato:
in primis Esther, reazionaria in una famiglia progressista, né ebrea né cattolica; il fratello Jérémy, borderline ed ebreo mancato (la sua circoncisione è farlocca, eseguita da un finto rabbino truffatore); nonna Fortunée, irrisolta e superstiziosa, che invoca Sant’antonio prima di andare al Bar mitzvah dei nipoti delle amiche; nonno Isaac, che crede ai cavalli più che in Dio; Patrick, padre burbero e ipersensibile; Babeth, madre svalvolata; nonna Suzie, così cattolica e così anaffettiva, tanto da evitare da anni la figlia e i nipoti... Persino il vaso proveniente da Souk Ahras – i nonni paterni sono francesi rimpatriati forzatamente dall’algeria – è fuori posto: venerato come un idolo, una reliquia, un feticcio. Di conformismo, insomma, se ne trova ben poco: neppure nell’arredo di casa ve n’è traccia.
Inutile dire che il vaso è un vaso di Pandora, e che i fantasmi tornano dal passato per perseguitare i vivi: dall’algeria selvaggia e rimpianta, quando i Dahan erano ricchi e spensierati, tra domestiche, grand hotel e casinò. La commedia, fin qui dalle parti di un certo Woody Allen, si fa cupa, amarissima: il
Match Point finisce male, come un sassolino gettato dal 31esimo piano di un palazzo che va ad ammazzare proprio la persona sbagliata.
Il veleno nella coda va riservato alla perniciosa, fuorviante fascetta che soffoca la copertina: “Una saga familiare... che ha fatto innamorare i librai francesi”. Ma no:
La piccola conformista abita molto lontano dall’eleganza
del riccio, semmai più vicina all’ arr on disse mentdell espine. Del riccio, di Esthe redi altri animali: “Sono nata da una pecorina”.
Il romanzo di Seyman La protagonista nasce, suo malgrado, in una famiglia di sinistra, figlia di sessantottini litigiosi: lei atea, lui ebreo