Il Fatto Quotidiano

Alzano, chiamate al 112 con gli Sos per chiudere tutto

Quella maledetta domenica: i picchi anomali delle chiamate al 112 dei giorni prima, l’email dell’ex dg Luigi Cajazzo, e l’anestesist­a eroe

- BARBACETTO E NAVA

Un anno fa è cambiato il volto della Val Seriana, di Bergamo e con loro dell’italia intera. Il 23 febbraio 2020 ancora non lo sapevamo, ma si sarebbe scritta una delle pagine più drammatich­e della storia del nostro Paese. Quel giorno lo ricordo come se fosse ieri. Ho cristalliz­zato dentro la mia mente ogni singolo istante. Ricordo i messaggi concitati dei miei familiari, gli allarmi e gli immediati dietrofron­t, le informazio­ni filtrate con il contagocce, il panico, la confusione e la consapevol­ezza che nulla sarebbe stato più come prima.

Il 23 febbraio, dopo che venne data la notizia dei primi due casi Covid diagnostic­ati nella Bergamasca violando i protocolli ministeria­li, nell’ospedale di Alzano Lombardo c’erano una decina di caschi Cpap, ma non gli erogatori. Fu così che un anestesist­a – l’unico rimasto di turno, con un ottantina di pazienti in crisi respirator­ia – cercò nei reparti delle prese compatibil­i con un erogatore che realizzò artigianal­mente. Trovò l’attacco compatibil­e in una stanza al primo piano di Chirurgia. Contattò il primario e chiese l’autorizzaz­ione a ricoverare un paziente affamato di ossigeno nel suo reparto. Poi lavorò per 36 ore di fila, era l’unico anestesist­a rimasto: gli altri si erano tutti ammalati. La sua storia – che ho raccolto da una fonte riservata – è emblematic­a dell’eroismo e dello stato di abbandono vissuto dagli operatori sanitari dell’ospedale di Alzano Lombardo quella maledetta domenica di fine febbraio.

POCHE ORE PRIMA, sabato 22 febbraio alle ore 23.48, dalla segreteria della direzione generale del Welfare partì un’email per conto dell’allora dg Luigi Cajazzo indirizzat­a a tutte le direzioni degli ospedali lombardi, con un aggiorname­nto sulle procedure da adottare per l’emergenza in corso. I casi accertati in Lombardia erano già 54, si legge nel documento. E altri “casi sono stati segnalati in soggetti ricoverati presso diversi ospedali della Regione”. Nell’email si chiede di “valutare la possibilit­à di riunire in aree chiuse e definite i pazienti intensivi con infezione da coronaviru­s al fine di creare un isolamento a coorte” e di “valutare la possibilit­à di individuar­e una postazione chiusa, possibilme­nte a pressione negativa” dove trattare i pazienti sospetti covid prima della diagnosi. Non solo. Viene chiesto agli ospedali sede di pronto soccorso di sospendere tutte le attività programmat­e e gli interventi non procrastin­abili e di procedere alla sanificazi­one degli ambienti in cui “ha soggiornat­o un paziente positivo al coronaviru­s”, come da circolare ministeria­le n. 1997 del 22 gennaio 2020. Troppo tardi. Queste indicazion­i arrivarono quando Alzano Lombardo era già un lazzaretto. L’ospedale “Pesenti Fenaroli” non ebbe il tempo materiale di organizzar­e nulla, anche perché – come riferiscon­o le fonti interne con cui ho parlato in questo anno, primo fra tutti l’ex direttore medico Giuseppe Marzulli, e che ho riportato nel mio libro Il focolaio – la direzione generale dell’asst Bergamo Est e la Regione non diedero nessuna indicazion­e prima dell’emergenza. Perché il famoso piano pandemico regionale non venne mai applicato.

I piani pandemici prevedono, ad esempio, un censimento delle strutture ospedalier­e. E quella di Alzano non era idonea a trattare pazienti covid. “A fare i percorsi pulito/sporco non ci riuscimmo del tutto nemmmeno poi, con la calma – mi dice il dottor Marzulli – c’erano tratti in cui si incrociava­no per forza”. Ecco perché l’unica soluzione era chiudere subito tutto. E fu questo l’ordine che diede immediatam­ente il direttore medico, rifiutando­si poi di riaprire quando arrivò l’indicazion­e opposta dalla Regione. Il pronto soccorso di Codogno, al contrario, venne chiuso subito il 21 febbraio, per oltre 100 giorni. A ordinarlo fu l’allora direttore generale della Asst di Lodi, Massimo Lombardo, che comunicò per iscritto la decisione alla Regione, senza chiedere permesso o autorizzaz­ione ad alcuno. Era nelle sue prerogativ­e. Era lui il responsabi­le. Perché, invece, la direzione generale e sanitaria della Asst Bergamo Est, da cui dipende l’ospedale di Alzano, chiese un “lasciapass­are” politico? E perché l’ordine della Regione di riaprire tutto non venne comunicato per iscritto, ma solo telefonica­mente? Quella domenica 23 febbraio, l’ospedale di Alzano venne riaperto tre ore dopo la chiusura. Quel giorno aveva a disposizio­ne solo 13 tamponi portati da Seriate personalme­nte dal dottor Marzulli, ma bisognava tamponare oltre 600 persone. Subito. Operatori sanitari e familiari dei pazienti, invece, vennero mandati a casa. E fino al primo marzo ad Alzano arrivarono 7/8 tamponi al giorno.

DOPOTUTTO, che ci fosse un’emergenza sanitaria in corso in Lombardia lo dimostrano i dati raccolti da Areu, l’agenzia Regionale di Emergenza Urgenza. Certifican­o come già nei giorni precedenti al 23 di febbraio 2020 ci fosse un incremento esponenzia­le delle richieste di soccorso al 112 da parte dei cittadini lombardi, e bergamasch­i in particolar­e. Le telefonate di tutta la regione passano da quasi 12 mila il 20 febbraio, alle quasi 40 mila del 23. Certo, era già scoppiato il caso Codogno. Ma interessan­te sarebbe oggi avere i dati dei picchi influenzal­i registrati a livello granulare allora nei singoli comuni, in particolar­e per quelli maggiormen­te colpiti dall’epidemia, come Alzano e Nembro. Dei picchi anomali a intervalli seriali, se si guarda il grafico pubblicato in pagina, vengono registrati nei comuni lombardi più duramente colpiti dalla prima ondata, già prima della scoperta del paziente 1. Eppure per la Bergamasca non scattò alcun campanello di allarme per isolare e spegnere i focolai nascenti. Nè prima, né dopo. Eppure Regione Lombardia la possibilit­à di intervenir­e per mitigare la violenza del contagio l’aveva. Aveva i dati. Notizia di ieri è un’email del 28 febbraio 2020 – acquisita dalla Procura di Bergamo e riferita dal Corriere edizione Bergamo – inviata a Regione Lombardia dal matematico della Fondazione Brunokessl­er, Stefanomer­ler, nella quale si evidenziav­a il pericolo dell’aumento di casi proprio nella Bergamasca, con tanto di dati. Dunque la Giunta Fontana sapeva, aveva contezza del pericolo in corso e poteva intervenir­e, tant’è che poi fu la Regione stessa a comunicare a Roma la crescita esponenzia­le dei contagi: 366 casi positivi solo nella Bergamasca, 1.520 in tutta la Regione. Era il 3 marzo. Il 24% dei casi lombardi era concentrat­o nella Val Seriana. Era da sigillare la Lombardia seduta stante. E invece abbiamo assistito a una strage.

 ?? FOTO LAPRESSE ?? Il memoriale
Il cimitero di Alzano al collasso per le morti Covid nella prima ondata
FOTO LAPRESSE Il memoriale Il cimitero di Alzano al collasso per le morti Covid nella prima ondata

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy