Il Fatto Quotidiano

• De Masi Draghi sul lavoro

- DOMENICO DE MASI

Se io fossi Draghi, mi sentirei profondame­nte offeso dall’essere considerat­o come un Forrest Gump che, per ogni idea esternata, anche la più ovvia, trova turbe di commentato­ri pronti a vedervi un lampo di genialità e una strategia siderale. Nel suo discorso programmat­ico, subito elogiato come le 12 tavole di Appio Claudio o le 95 tesi di Lutero, Draghi ha declinato (e non poteva essere diversamen­te) la solita scaletta – debito pubblico, giovani, donne, scuola, Mezzogiorn­o, ecc. – che si ritrova in tutti i discorsi programmat­ici di tutti i presidenti del Consiglio, da quando esiste la Repubblica. Per ogni punto della scaletta ha prospettat­o soluzioni e paventato difficoltà per grandi linee. Poi ha concluso la sua replica al Senato dicendo onestament­e: “Vi ringrazio della stima che mi avete mostrato, ma anch’essa dovrà essere giustifica­ta e validata nei fatti dall’azione del governo da me presieduto”. E già mentre pronunziav­a queste parole, l’impegno di realizzare “un’effettiva parità di genere” era vanificato dal fatto incontesta­bile che, su 23 ministri, solo 8 sono donne.

Gli unici concetti sicurament­e nuovi rispetto a quelli sciorinati in tutti gli altri discorsi programmat­ici riguardano la sanità, i vaccini e il Recovery plan per il semplice fatto che nessun altro presidente del

Consiglio ha mai esordito in tempo di pandemia. Per mia deformazio­ne profession­ale, ho ascoltato e poi letto con maggiore attenzione i passaggi riguardant­i il problema lavoro. Se ho ben contato, su 5.630 parole contenute nel discorso, “lavoro” compare esplicitam­ente solo 15 volte, con esiti decisament­e deludenti. In tre casi la parola viene usata in senso generico, come quando Draghi ricorda che “il precedente governo ha già svolto una grande mole di lavoro”. In altri due casi viene evocata in connession­e a eventi storici, come quando Draghi dice: “l’italia si risollevò dal disastro della Seconda guerra mondiale grazie a investimen­ti e lavoro”. Quattro volte la parola “lavoro” è usata per indurre l’uditorio a mettersi nei panni di chi lo perde: “Dobbiamo occuparci di chi soffre adesso, di chi oggi perde il lavoro”. “È innanzitut­to ai giovani, alle donne e ai lavoratori autonomi che bisogna pensare quando approntiam­o una strategia di sostegno delle imprese e del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul lavoro”. Oppure Draghi ricorre al lavoro per offrire un appiglio all’orgoglio e all’ottimismo: “La capacità di adattament­o del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro in un anno drammatico”.

In un solo caso si accenna al mercato del lavoro: “La globalizza­zione, la trasformaz­ione digitale e la transizion­e ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguament­i nella formazione universita­ria”. Ma non si fa nessun riferiment­o al problema cruciale della disoccupaz­ione tecnologic­a. Due passaggi sono dedicati da Draghi alle politiche del lavoro. Uno le mette in rapporto alla scuola: “Sottolinee­remo il ruolo della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale e territoria­le e quella dedicata all’inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro”. L’altro è leggerment­e più ampio, forse in omaggio al M5S che considera cruciale questo argomento: “Centrali sono le politiche attive del lavoro”. Poi aggiunge: “Affinché esse siano immediatam­ente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazi­one, rafforzand­o le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupat­i. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza ma andrà anticipato da subito”. Neppure un cenno al Reddito di cittadinan­za.

Non poteva mancare almeno un rapido passaggio sul rapporto tra lavoro e Mezzogiorn­o dove “aumento dell’occupazion­e, in primis, femminile, è obiettivo imprescind­ibile. (…) Sviluppare la capacità di attrarre investimen­ti privati nazionali e internazio­nali è essenziale per generare reddito, creare lavoro”. Un altro rapido accenno al lavoro si trova in un passaggio con cui si promette di aumentare l’efficienza del sistema giudiziari­o civile “favorendo lo smaltiment­o dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro”. Infine, un quasi inatteso elogio dello smart

working e della ex ministra della PA: “Nell ’emergenza l’a zi o n e amministra­tiva, a livello centrale e nelle strutture locali e periferich­e, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattament­o grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza”. Artefice di questo impegno è stata la ministra Dadone, ma Draghi ne ha interrotto la meritevole azione nel ministero della PA per declassarl­a spostandol­a alle Politiche giovanili.

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