“Vaccini prodotti in Italia”. Ma sono soltanto annunci
Ileader Ue valutano le contromisure per risolvere le penuria di vaccini Covid, ma niente linea dura contro le case farmaceutiche. “Le aziende inadempienti non vanno scusate”, ha dichiarato prudentemente il premier italiano Mario Draghi al Vertice in videoconferenza, in programma ieri e oggi. I 27 capi di stato e governo hanno esortato Big Pharma a garantire la prevedibilità della produzione e rispettare i termini di consegna. I due successivi tagli annunciati da Astrazeneca ( 60% e 50% in meno rispettivamente nel primo e secondo trimestre 2021), i ritardi nelle forniture di Pfizer e l’allungamento dei tempi per la conclusione dei test clinici di Sanofi rischiano di rallentare la campagna di immunizzazione e la ripresa economica negli Stati membri. Il testo delle conclusioni ufficiali della riunione si limita a sottolineare la necessità di accelerare l’autorizzazione, la produzione e la distribuzione dei vaccini per impedire la diffusione delle varianti. Accolte positivamente l’idea di somministrare una sola dose per aumentare il numero di vaccinati e di introdurre un passaporto vaccinale per riaprire parzialmente l’economia. Non si fa invece parola sull’eventuale obbligo per le aziende di condividere le informazioni per ampliare le capacità produttive.
QUEST’ESTREMA soluzione sarebbe stata discussa dietro le quinte, stando a notizie trapelate alla vigilia del summit. L’UE potrebbe ricorrere all’art. 122 del Trattato che consente interventi in caso di scarsità di beni essenziali. Tra le azioni possibili c’è anche il divieto dell’export di vaccini che potrebbe tuttavia penalizzare i paesi a basso reddito. Questi, infatti, non sono sufficientemente coperti dal fondo di soldiearietà globale Covax, sul finanziamento del quale i 27 non sono riusciti a fare passi avanti, faticando già a produrre dosi ai propri cittadini. “Si deve riflettere su una sospensione temporanea di alcune protezioni della proprietà intellettuale, consentendo una distribuzione rapida ed eguale a tutti i cittadini, compresi quelli delle aree del mondo più svantaggiate”, ha detto al Fatto il presidente dell’europarlamento David Sassoli. Per ora, la Commissione europea si affida agli accordi volontari con cui le compagnie stanno assoldando nuovi partner nelle loro rispettive filiere. I Big farmaceutici hanno ieri confermato un impegno in tal senso durante u n’audizione speciale all’europarlamento. Si sono però opposti a deroghe alla tutela della proprietà intellettuale e al trasferimento sistematico del know-how a terzi. “Ciò che serve è
Contratti Londra ha firmato un giorno prima l’accordo con Astrazeneca: ha ottenuto però la precedenza sulle consegne grazie al potenziamento dei siti
c o nd i v i de r e non i brevetti, bensì le tecn o l o g ie ”, ha dichiarato Pascal Soriot, ad di Astrazeneca che detiene la licenza sul vaccino sviluppato da Oxford, “tuttavia, insegnare ad altri richiede tempo e risorse, siamo già al limite delle possibilità nell’ambito delle collaborazioni in corso”. Gli hanno fatto eco i rappresentanti delle altre società, tra cui Stéphane Bancel di Moderna che ha aggiunto; “valuteremo l’opportunità di rilasciare licenze una volta che avremo consolidato la performance dei nostri attuali i m p ia n t i ”. Rispondendo al bombardamento di domande degli eurodeputati sulla riduzione delle dosi promesse all’ue, Soriot ha ribadito l’imprevisto dimezzamento della produttività del sito belga gestito dalla Novasep che produce dosi sia per l’ue che per mercati esteri (come Israele che, secondo indiscrezioni, sembra pagare di più dell’ue per ciascun vaccino, tre volte tanto per ciascuna dose di Pfizer). Soriot ha anche ammesso il vantaggio ottenuto dal Regno Unito grazie al finanziamento accordato nel maggio 2020 a Oxford, non solo per la ricerca, ma anche per l’aumento di produzione del sito in Uk. In cambio avrebbe ottenuto la precedenza sulle dosi prodotte.
ASTRAZENECA
ha firmato i contratti di fornitura con Londra e Bruxelles a distanza di un solo giorno lo scorso agosto. “Ciò che ha fatto la differenza è che il governo britannico ha siglato il suo accordo di distribuzione solo dopo che era stata sviluppata la capacità di produzione sul suo territorio per permettere all’azienda di onorare i suoi impegni, mentre la Commissione europea ha sostenuto finanziariamente Astrazeneca solo dopo la firma, peraltro con un semplice acconto per le dosi di vaccino e non con un contributo ad hoc per rafforzare l’infrastruttura di produzione in Europa che è quindi rimasta indietro”, ha commentato Colin Mccall, partner dello studio legale internazionale Taylor Wessing. Altri giuristi specializzati hanno peraltro rilevato che il contratto britannico offre al governo più efficaci mezzi di tutela contro la multinazionale anglo-svedese.