Le liriche acerbe del giovane Carmelo Bene
L’INEDITO Esce mercoledì una raccolta di versi scritti tra il 1950 e il ’58: “Ho sognato di vivere!”. Mostrano le tempeste giovanili dell’attore, prima di “apparire alla Madonna”
Da giovani tutti possono scrivere poesie. Chi continua da adulto è un poeta o un cretino. È la sintesi spuria dell’es tetica di Benedetto Croce che Fabrizio De André usò una volta per spiegare il suo impegno nella musica. Scopriamo che vale anche per Carmelo Bene, e bisogna ringraziare l’edizione dei componimenti giovanili dell’attore, che esce mercoledì per Bompiani.
Da giovani tutti possono scrivere poesie. Chi continua da adulto è un poeta o un cretino. È la sintesi spuria dell’estetica di Benedetto Croce che Fabrizio De André usò una volta per spiegare il suo impegno nella musica. Scopriamo che vale anche per Carmelo Bene, e bisogna ringraziare l’edizione dei componimenti giovanili dell’attore, che esce mercoledì per Bompiani col titolo Ho so
gnato di vivere!, preso a prestito da uno dei primi testi: “Ho sognato di vivere:/ era bello!/ Seguì un risveglio brusco:/ pensai alla morte/ e mi misi a ridere!”
SESSANTANOVE LIRICHE
scritte tra il 1950 e il 1958 dal profondo Salento di Santa Cesarea Terme, dove la famiglia di Carmelo trascorreva l’estate. A riscoprirle tra le carte archivate suo nipote Stefano De Mattia.
Quelli sono gli anni della formazione dell’uomo e del personaggio. Nel 1950, quando datano le prime poesie, Bene ha 13 anni e vive in Puglia. Nel 1958, data degli ultimi componimenti, è già a Roma, si è già stufato dell’accademia nazionale d’arte drammatica (dove si era iscritto un anno prima). Non è ancora apparso alla Madonna, ma si è già innamorato del Caligola di Camus e del teatro della crudeltà di Antonin Artaud, e ha già passato “trecentoventicinque notti nei commissariati di zona”, come dice nella conversazione biografica con Giancarlo Dotto ( La vita di Carmelo Bene).
Queste liriche giovanili, scritte a penna su foglietti (il libro ne riproduce alcuni), vengono prima di tutto ciò: prima del teatro, prima del cinema, prima del successo e dell’eccesso. Raccontano la passione di Bene giovane, prima che l’attore già diventato “scandaloso” elaborasse la sua critica della rappresentazione, cominciasse a svuotare il soggetto e a scarnificare la voce in phoné.
Questi versi vengono prima che Bene lodasse la “matematicità” del trovatore del XII secolo Arnaut Daniel, per le sue canzoni costruite come “fuoco d’artificio e tuttavia essenzialissimo, di parola esplosa, campita da un lato e dall’altro anche campata in aria” ( La voce di
Narciso ). Di questi versi giovanili di Bene colpiscono l’entusiasmo e lo slancio passionale volentieri espresso con il punto esclamativo (forse il segno di punteggiatura più ricorrente). L’ambiente pesa: la vegetazione spampanata dall ’afa, la terra scottata dal sole. Nei versi la parola “vento” compare 22 volte, il “sole” 18 e il “c ie l o” 17. L’opposto dello scuro delle tende pesanti della sua casa sull’aventino degli anni maturi. Ricorrono l’amore, la bocca (che bacia o anela). Ma anche, all’opposto, le situazioni funebri, il lutto come un’ossessione.
Questa raccolta poetica allunga, se ce ne fosse bisogno, la lista dei suoi lasciti scritti. Ma cosa ci dicono di lui? Stefano De Mattia scrive nell’introduzione che “ra ppresentano la forma più embrionale e pura del genio che in seguito si rivelerà”. Un critico militante come Franco Cordelli (che non ha mai lesinato polemiche) recide di netto: “Le poesie non le voglio leggere, non perché mi rovinerebbero l’immagine di Carmelo, ma perché sono certo che me la confermer e b be r o ”. Serve a poco, per Cordelli, cercare di stendere l’opera di Bene su una linea cronologica: “La verità è che non è mai mutato, dalla prima volta che l’ho visto fino all’ultima. Non è cresciuto, non è cambiato, ma non è una colpa, né un difetto artistico. Semplicemente non è stato uno di quegli artisti (perme imigliori) che maturano nel tempo. È nato geniale e geniale è rimasto: che fosse La cena delle beffe nel 1974 o Pinocchio nel 1994, lui ripeteva se stesso”.