I discontinui e Armando
Non se se capita pure a voi, ma da un po’ di tempo mi frulla nella testa una parolina: discontinuità. La sento dappertutto, nei tg, nei talk e perfino nelle terza Camera, quella di Barbara D’urso e Nicola Zingaretti. Pronunciata con un certo compunto sussiego, come l’o sa n n a dell ’ officiante all’antifona, ma anche con la stessa pimpante solennità del telecronista che preannuncia la sentenza del Var. Sempre sillabata con la boccuccia stretta in quanto coniata appositamente per il Nuovo Dizionario Draghi (ma non da Mario Draghi), e dunque da assimilare prontamente nella semantica della Salvezza Nazionale. Per miei evidenti limiti, ho cercato di saperne di più e ho trovato definizioni di “discontinuità” nei campi della fisica, della matematica, perfino della meteorologia, più la banalissima “mancanza di continuità” che tuttavia mi sembrò non giustificare l’infervoramento di cui sopra. Poi, l’altra sera, mentre gettavo un occhio sul Festival di Sanremo, qualcosa nella mia mente ha cominciato a chiarirsi. È stato quando Rosario Fiorello correndo in platea tra le poltroncine vuote ha osservato “l’assenza di culi”, ovvero “la parte peggiore dell’essere umano”. Ecco finalmente un esempio di discontinuità, ho pensato: al posto del consueto assalto di culi eccellenti appartenenti a papaveri Rai, a politici rivieraschi, a ospiti di controverso pregio, nonché alle loro signore, amiche, amici e amanti le telecamere inquadravano una platea in rigorosa fascia rossa, eroicamente sobria, severa, asciutta, silenziosa, competente, migliore e dunque in perfetta sintonia con lo spirito della discontinuità. Poi, l’indomani, mentre gettavo l’altro occhio sull’editoriale di Stefano Folli su Repubblica, il quadro si è illuminato ulteriormente, finché il controverso concetto mi è apparso sotto la giusta luce. A proposito del siluramento di Domenico Arcuri, l’articolista si doleva infatti del quanto mai fazioso fraintendimento per cui “averlo defenestrato, al di là dei risultati più o meno negativi ottenuti dalla sua controversa gestione, non sarebbe un gesto di discontinuità che dà l’impronta alla nuova stagione di Draghi bensì una sorta di scalpo offerto alla destra”. Mentre condividevo la giusta riprovazione, un lampo mi ha ricordato quella scena di Un americano a Roma, nella quale Alberto Sordi fa il gradasso e un tizio della produzione perde le staffe: “A rmando, questo me lo cacci via subito”. Massì, la famosa discontinuità di Armando, tutto torna.