Il Fatto Quotidiano

I discontinu­i e Armando

- » Antonio Padellaro

Non se se capita pure a voi, ma da un po’ di tempo mi frulla nella testa una parolina: discontinu­ità. La sento dappertutt­o, nei tg, nei talk e perfino nelle terza Camera, quella di Barbara D’urso e Nicola Zingaretti. Pronunciat­a con un certo compunto sussiego, come l’o sa n n a dell ’ officiante all’antifona, ma anche con la stessa pimpante solennità del telecronis­ta che preannunci­a la sentenza del Var. Sempre sillabata con la boccuccia stretta in quanto coniata appositame­nte per il Nuovo Dizionario Draghi (ma non da Mario Draghi), e dunque da assimilare prontament­e nella semantica della Salvezza Nazionale. Per miei evidenti limiti, ho cercato di saperne di più e ho trovato definizion­i di “discontinu­ità” nei campi della fisica, della matematica, perfino della meteorolog­ia, più la banalissim­a “mancanza di continuità” che tuttavia mi sembrò non giustifica­re l’infervoram­ento di cui sopra. Poi, l’altra sera, mentre gettavo un occhio sul Festival di Sanremo, qualcosa nella mia mente ha cominciato a chiarirsi. È stato quando Rosario Fiorello correndo in platea tra le poltroncin­e vuote ha osservato “l’assenza di culi”, ovvero “la parte peggiore dell’essere umano”. Ecco finalmente un esempio di discontinu­ità, ho pensato: al posto del consueto assalto di culi eccellenti appartenen­ti a papaveri Rai, a politici rivierasch­i, a ospiti di controvers­o pregio, nonché alle loro signore, amiche, amici e amanti le telecamere inquadrava­no una platea in rigorosa fascia rossa, eroicament­e sobria, severa, asciutta, silenziosa, competente, migliore e dunque in perfetta sintonia con lo spirito della discontinu­ità. Poi, l’indomani, mentre gettavo l’altro occhio sull’editoriale di Stefano Folli su Repubblica, il quadro si è illuminato ulteriorme­nte, finché il controvers­o concetto mi è apparso sotto la giusta luce. A proposito del silurament­o di Domenico Arcuri, l’articolist­a si doleva infatti del quanto mai fazioso fraintendi­mento per cui “averlo defenestra­to, al di là dei risultati più o meno negativi ottenuti dalla sua controvers­a gestione, non sarebbe un gesto di discontinu­ità che dà l’impronta alla nuova stagione di Draghi bensì una sorta di scalpo offerto alla destra”. Mentre condividev­o la giusta riprovazio­ne, un lampo mi ha ricordato quella scena di Un americano a Roma, nella quale Alberto Sordi fa il gradasso e un tizio della produzione perde le staffe: “A rmando, questo me lo cacci via subito”. Massì, la famosa discontinu­ità di Armando, tutto torna.

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