Il Fatto Quotidiano

I giallorott­i: Draghi spacca Pd e 5Stelle

VIENE GIÙ TUTTO IL SEGRETARIO DEM, ASSEDIATO DAI RENZIANI, SI DIMETTE. MR. ROUSSEAU SFIDA IL GARANTE (E CONTE)

- ▶ CANNAVÒ E MARRA

Lo “s tillicidio”, come lo definisce lui, andava avanti da giorni e giorni. E con quello, un rimuginare sull’addio che non trovava pace. Alla fine, Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni. Quasi a freddo nei tempi e inconsuete nei modi, scegliendo un post Facebook. “Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”. Ma poi è stato ancora più diretto: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”. Non una fredda comunicazi­one, ma un messaggio fortissimo, polemico, prima di tutto emotivo, da cui trapela la difficoltà dell’uomo di fronte a un tiro al piccione quotidiano. Ma anche uno scatto di orgoglio.

Non ha avvertito praticamen­te nessuno, se non il suo inner circle, che il dado era tratto, Zingaretti. Chi ci aveva parlato mercoledì sera e ieri mattina racconta che il quasi ex segretario ( le dimissioni saranno formalizza­te con una lettera alla presidenza del partito) pareva convinto ad andare avanti. Magari a presentars­i come traghettat­ore, fino al congresso in autunno, all’assemblea del 13 e 14 marzo. Oppure ad arrivare fino al 2023, sfidando le minoranze. Anche se negli ultimi due giorni, il passo indietro prendeva consistenz­a davanti al rinvio delle Amministra­tive a ottobre, con l’idea di candidarsi sindaco. L’annuncio ha lasciato tutti nella costernazi­one generale: non lo sapeva Goffredo Bettini, che spingeva per un rilancio; non lo sapeva Dario Franceschi­ni, che la lavorato in queste settimane per convincerl­o a rimanere.

D’ALTRA parte, “Zinga” di sconfessio­ni implicite ed esplicite ne ha colleziona­te parecchie. Ha dato il via a malincuore al governo giallorosa per poi inchiodars­i al “Conte o voto” fino al momento in cui ha sentito dalle parole di Sergio Mattarella nella sala alla Vetrata che Mario Draghi era in campo. Ha accettato il governo con la Lega ed è dovuto restare fuori, per non far entrare Matteo Salvini. Ha visto praticamen­te fallire l’ipotesi dell’alleanza organica M5S, Pd, LEU con Giuseppe Conte federatore. E sull’ “identità” del Pd era già pronta una battaglia sul sistema elettorale, che mezzo partito vuole più maggiorita­rio di lui, per preservare l’idea di un partito plurale. Tutto questo, tra gli attacchi quotidiani di Base Riformista (la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti) e dei sindaci. Poi c’è stata la débâcle sui sottosegre­tari e la scivolata del tweet in sostegno di Barbara D’urso. E la fatica di mandare giù l’indifferen­za del premier e la freddezza dimattarel­la nei suoi confronti.

“Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabi­lità”, scrive. Senza un percorso, il Pd rischia davvero l’implosione. E lui lo sa. Che questo basti a convincerl­o a ripensarci è da vedere. Nonostante la richiesta che dopo un paio d’ore arriva praticamen­te da tutti a ripensarci. Da Franceschi­ni a Guerini, da Andrea Orlando ad Andrea Marcucci. Amici e nemici. Oltre ai messaggi di solidariet­à che il responsabi­le Organizzaz­ione, Stefano Vaccari, raccoglie con cura. Non parla Stefano Bonaccini, il principale candidato alla succession­e. Giuseppe Conte gli telefona, per ribadire l’apprezzame­nto delle sue qualità umane e della sua lealtà. In fondo, i due condividon­o la stessa sorte: sono fuori, come voleva Matteo Renzi. Nel governo guardano con una certa preoccupaz­ione a un Pd senza controllo, ma da quando è arrivato Draghi, a implodere sono stati i dem e i Cinque Stelle.

POST SU FB LO STILLICIDI­O QUOTIDIANO A DISCUTERE DI POLTRONE

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