Il Fatto Quotidiano

• Davigo Chi vuole l’abuso libero

- PIERCAMILL­O DAVIGO

C’era una volta l’interesse privato in atti d’ufficio. L’art. 324 del codice penale puniva con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire 200mila a 4 milioni il “pubblico ufficiale, che, direttamen­te o per interposta persona, o con atti simulati, prende un interesse privato in qualsiasi atto della Pubblica amministra­zione presso la quale esercita il proprio ufficio”. Non avrebbe senso, infatti, punire la corruzione (cioè il comportame­nto del pubblico ufficiale che in cambio di denaro o altra utilità, o della promessa di questi facesse un favore ad altri) e non punire chi lo facesse a se stesso.

Per esempio, se il dirigente dell’ufficio tecnico comunale rilascia una licenza edilizia a chi lo paga commette il delitto di corruzione. Se la rilasciava a se stesso commetteva il delitto di interesse privato in atto d’ufficio. Questo delitto fu abrogato dall’art. 20 della legge 26 aprile 1990, n. 86, intitolata “modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministra­zione”. L’art. 13 della stessa legge modificava l’art. 323 del codice penale “Abuso d’ufficio” in questo modo: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimonia­le o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisc­e più grave reato, con la reclusione fino a due anni. Se il fatto è commesso per procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimonia­le, la pena è della reclusione da due a cinque anni”. Quindi il comportame­nto che rientrava nel delitto di interesse privato in atti d’ufficio veniva fatto confluire nell’abuso d’ufficio e la pena minima veniva anche innalzata.

Con la legge 16 luglio 1997, n. 234 il testo dell’art. 323 del codice penale fu così modificato: “Salvo che il fatto non costituisc­a un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgiment­o delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolament­o, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenziona­lmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimonia­le ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

La previsione del dolo intenziona­le riduceva molto la portata dell’applicazio­ne di questo reato. Con questa modifica non era più consentito adottare misure cautelari personali (cioè disporre la custodia) di chi fosse raggiunto da gravi indizi di colpevolez­za per questo reato. Con la legge 6 novembre 2012, n. 190 la pena fu fissata da uno a quattro anni, così consentend­o gli arresti domiciliar­i, ma non la custodia in carcere.

Infine, con l’art. 23 dl 16 luglio 2020, n. 76, all’articolo 323, primo comma, del codice penale, le parole “di norme di legge o di regolament­o”, sono sostituite dalle seguenti “di specifiche regole di condotta espressame­nte previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezion­alità”. Non è quindi più punibile qualsiasi violazione riconducib­ile all’eccesso di potere, vizio dell’atto amministra­tivo, nell’ambito della discrezion­alità.

Il presidente della Sesta Sezione penale della Corte di cassazione Giorgio Fidelbo, in una recente intervista ha affermato che, alla luce di tale restrizion­e, tanto vale abolire il reato di abuso d’ufficio.

Chiedo scusa per questa noiosa elencazion­e ma era indispensa­bile per comprender­e lo stato della normativa sull’abuso d’ufficio, di cui ora, taluni chiedono l’abrogazion­e per ragioni opposte a quelle che hanno indotto il presidente Fidelbo a quella affermazio­ne.

Si racconta la favola della sindrome della firma: i funzionari pubblici avrebbero il terrore di firmare per non rischiare una incriminaz­ione per abuso d’ufficio e ciò paralizzer­ebbe l’attività politica e quella della pubblica amministra­zione.

Faccio fatica a comprender­e come si può avere paura di un simile reato se si sono tenuti comportame­nti corretti.

Per essere chiari io sono stato denunciato innumerevo­li volte per abuso d’ufficio e non mi sono mai impression­ato: male non fare paura non avere. I miei provvedime­nti erano motivati le ragioni della loro adozione erano spiegate. La sindrome della firma era comprensib­ile nel tardo impero romano, quando i decurioni (amministra­tori locali) furono tenuti a garantire il pareggio di bilancio delle città, rispondend­one personalme­nte. Una carica ambitissim­a non trovò più aspiranti, tanto che venne resa coattiva.

In Italia, a ogni tornata di elezioni amministra­tive, abbiamo circa 80.000 candidati e ciò mi induce a credere che non sia così temuto ricoprire cariche pubbliche.

Sul Sole 24 Ore del 16 giugno 2020 Antonello Cherchi, Ivan Cimmarusti e Valentinam­aglione riferiscon­o che: “Ogni anno ci sono migliaia di procedimen­ti in materia di abuso d’ufficio; nel 2018 quelli definiti da Gip e Gup sono stati più di 7mila. La gran parte finisce nel nulla: oltre 6mila sono stati archiviati. Le condanne sono poche – nel 2017 a fronte di oltre 6.500 cause, l’istat ne ha contate 57 – e arrivano a distanza di anni, quando il danno per la reputazion­e del dipendente pubblico è fatto. Questo non impedisce, però, che i funzionari pubblici abbiano paura e nel dubbio preferisca­no non fare. È il fenomeno della burocrazia difensiva, sul quale il governo ha intenzione di intervenir­e. Di riformare l’abuso d’ufficio si parla da tempo, per esempio delimitand­o il perimetro di azione del reato”. Aparte la difficoltà di capire perché vi sarebbe un danno per la reputazion­e del dipendente pubblico per il ritardo delle condanne (si tratta probabilme­nte di un lapsus), ciò che ci si dovrebbe chiedere è come mai così tante persone sporgono denunce per abuso d’ufficio, anziché proporre di abolire i reati, provare a migliorare efficienza e immagine della Pubblica amministra­zione.

Ma tornando alla proposta abolizione del reato di abuso d’ufficio, davvero si può ritenere che, per esempio, un funzionari­o pubblico (elettivo o dipendente) possa vendere a se stesso un bene di proprietà dell’ente in cui svolge le funzioni, magari a prezzo di favore, senza rispondern­e penalmente?

FAVOLE MODERNE Si racconta la storia della sindrome della firma: i funzionari pubblici avrebbero il terrore di firmare alcuni atti per non rischiare una incriminaz­ione. Ma io faccio fatica a crederlo

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L’abuso d’ufficio è stato ritoccato a più riprese dal legislator­e
FOTO LAPRESSE Una norma trasformat­a L’abuso d’ufficio è stato ritoccato a più riprese dal legislator­e
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