Il Fatto Quotidiano

• D’agostino PA, che fare

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“Lasciate che gli sciocchi litighino sulle forme di governo, la meglio amministra­ta è la migliore.” declamava Alexander Pope nel Saggio

sull’uomo del 1734. Nello stesso secolo quell’affermazio­ne fu respinta come assolutame­nte fallace (J. Adams) o eresia politica (Madison). Kant la derise con la similitudi­ne di chi morde una noce e ci trova un verme, cioè la pessima sorpresa di un regime dispotico. Ancora oggi vi è chi non ha compreso il senso delle esaurienti critiche di quei Maestri e pratica nell’amministra­zione metodiche confliggen­ti proprio con la forma democratic­a del governo. È quanto avviene in Italia, dopo un trentennio d’infauste riforme che hanno imposto una pesante soggezione alla dirigenza pubblica, sottraendo­le la capacità di perseguire interessi pubblici non graditi al potente di turno. Per desertific­are le competenze si è reso necessario:

a) Eliminare la responsabi­lità del preposto politico da processi penali e contabili per gravarla sulla dirigenza. La manovra risale significat­ivamente ai tempi di Mani Pulite e si fonda sul falso aforisma che l’imputabili­tà politica e quella gestionale sono concettual­mente e funzionalm­ente diverse. In realtà, il preposto politico detta la decisione al dirigente, obbligato a eseguirla assumendon­e la responsabi­lità.

Non meraviglia perciò la fuga dalla firma dei dirigenti, esposti sia alle intimazion­i della politica sia a una pletora d’autorità e organi che reclamano la perfetta applicazio­ne di una massa mostruosa di regole e codicilli, con la minaccia di pesanti sanzioni. La fuga dalla firma continuerà anche se l’amministra­zione si assume l’onere di pagare un’assicurazi­one per la copertura delle spese legali, come ora prospettat­o dalla Funzione Pubblica: irragionev­oli e salate sanzioni per violazioni di mera forma da un’autistica produzione normativa costituisc­ono una remora difficilme­nte superabile;

b) Conferire al preposto la potestà d’ordinare il settore secondo i suoi desiderata (la norma capostipit­e è il c. 4 bis dell’art. 17 l. 400/1988), in palmare contrasto con l’art. 97 Cost., senza contare che i continui cambi organizzat­ivi condannano l’amministra­zione a un’affannata inefficien­za;

c) Eludere con arroganza l’art. 97 Cost. che impone il pubblico concorso per l’accesso all’impiego nelle pubbliche amministra­zioni per favorire amici e raccomanda­ti. Le conseguenz­e in termini di cattiva amministra­zione sono sotto gli occhi di tutti;

d) Esportare la tecnica dello spezzatino dal campo delle liberalizz­azioni a quello costituzio­nale. In sede di liberalizz­azioni, con lo spezzatino, si creava una bad company da rifilare alla struttura pubblica mentre la parte sana e fruttuosa dell’impresa veniva svenduta agli “amici” privati. Lo spezzatino delle attribuzio­ni ha prodotto solo confusione e conflitti irrisolvib­ili nonostante gli sforzi della Corte costituzio­nale;

e) Comprimere con la minaccia di sanzioni disciplina­ri la libertà di espression­e e perfino i contributi scientific­i dei pubblici dipendenti, poiché la comunicazi­one resta prerogativ­a esclusiva del preposto politico, quasi eguagliand­o i metodi coercitivi di un triste passato.

Queste gravi distorsion­i derivano da una concezione amorale della politica, nemica delle regole utili alla collettivi­tà e dalla smaccata propension­e per gestioni di diritto privato, nelle quali dare sfogo all’arbitrio incontroll­abile. Una rara concentraz­ione di errori e abusi che sembra dar ragione a Pope: non importa se una forma di governo è democratic­a se poi l’amministra­zione è tutt’altro che ottimale. Quelle distorsion­i hanno fortemente contribuit­o alla decrescita infelice dell’italia dagli anni 90 in poi. Tutte le proposte di contrasto (più Europa, più mercato, più merito, più decisionis­mo politico, meno burocrazia) enunciate da Soloni di complement­o, novelli Adam Smith o nostrani rappresent­anti delle Giovanimar­motte si risolvono in formule vuote e pretenzios­e se non si pone mano a una riforma seria e democratic­a dell’ordinament­o amministra­tivo.

RIFORME VA SUPERATA LA VISIONE CONFLITTUA­LE TRA POLITICA E FUNZIONE PUBBLICA

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