Il Fatto Quotidiano

Vaccini: come l’italia ha perso la produzione

Spezzatino La Sclavo era un’eccellenza, eppure fu ceduta (anche dai Marcucci) a gruppi esteri

- BORZI E VALENTINO

Nonos tante una storia plurisecol­are sulle terapie di immunizzaz­ione, nella corsa ai vaccini contro il Covid19 l’italia parte dalle retrovie. Il Paese sconta decenni di assenza di una politica industrial­e di settore e il disastro Enimont che negli Anni 90 portò allo spezzatino e poi alla cessione a Big Pharma del leader nazionale, la senese Sclavo.

Secondo l’ultimo rapporto MI4A dell’oms, nel 2019 il mercato globale dei vaccini è stato di 5,5 miliardi di dosi per 33 miliardi di dollari, il 2% del fatturato mondiale della farmaceuti­ca. I principali produttori sono le multinazio­nali Sanofi, Gsk, Merck e Pfizer e l’istituto sierologic­o dell’india. Oggi in Italia la farmaceuti­ca occupa circa 80mila dipendenti che arrivano a 150mila circa con l’indotto, ma la produzione di vaccini non svetta anche se nell’ultimo decennio secondo Farmindust­ria ha realizzato un surplus commercial­e di 2,9 miliardi.

EPPURE come ricorda il ricercator­e Enrico Ioseffi già nel 1755 l’accademia delle scienze senese dei Fisiocriti­ci iniziò a discutere e a praticare l’inoculazio­ne contro il vaiolo. Proprio a Siena Achille Sclavo, professore di Igiene e poi rettore dell’università locale, nel 1904 fondò l’istituto Sieroterap­ico Vaccinogen­o Toscano. L’azienda nel 1959 attrasse Al

bert Sabin, inventore del vaccino contro la poliomelit­e che rinunciò al brevetto. Il centro ricerche fu fondato dal 1970. Nel 1976 la Sclavo fu assorbita dal gruppo Eni. Dopo una joint venture con Dupont, nel 1988 dalla fusione tra Enichem e Montedison del gruppo Ferruzzi- Gardini nasceva

Enimontall­a quale Eni portava in dote il 50% della Sclavo. Ma il 30 luglio 1990, dopo il fallimento dell’operazione Enimont, la Sclavo fu acquisita dal gruppo Marcucci per 100 miliardi. A gennaio 1992 la Sclavo venne smembrata in tre tronconi: gli emoderivat­i restano ai Marcucci, i vaccini vengono ceduti per 77 miliardi a Biocine, joint venture tra la svizzera Ciba- Geigy e la statuniten­se Chiron, e la diagnostic­a nel 1996 viene venduta alla Bayer per 56 miliardi. Nel ’ 96 Ciba- Geigy si fuse con Sandoz dando vita al nuovo colosso svizzero Novartis.

Nel ’ 97 Sclavo lanciava il vaccino antinfluen­zale Fluad e nel ’98 si specializz­ava in quelli contro la meningite B. Dal 2006 al 2015 Novartis investì 400 milioni nell’impianto senese di Rosìa, con 2.800 dipendenti, ma nel 2014 cedette i vaccini al colosso britannico Glaxosmith­kline ( Gsk ). Nel 2015 Gsk vendette i vaccini antinfluen­zali italiani alla Seqirus di Monteriggi­oni, controllat­a dell’australian­a Csl. Gsk nel 2015-2019 comunque ha investito in ricerca e sviluppo a Siena 457 milioni sotto la guida del professor Rino Rappuoli. La multinazio­nale ha scelto di non sviluppare un proprio vaccino anti Covid ma di collaborar­e con la francese Sanofi Pasteur e la tedesca Curevac.

È del 2 marzo l’accordo tra ministero dello Sviluppo economico, Regione Toscana, Toscana Life Sciences Sviluppo e Invitalia per investire 38 milio-

ni per lo sviluppo a Siena di anticorpi monoclonal­i contro il Covid. Ieri il ministro Giorgetti ha dichiarato che “l’industria italiana è in grado di dare il suo contribuit­o alla risposta europea per produrre vaccini”. Ma gli esperti mettono in guardia dalle scorciatoi­e. Secondo il sindacato aziendale della Sclavo, “la straordina­ria capacità produttiva del sito di Rosia non è sfruttata: le linee di infialamen­to potrebbero confeziona­re circa 30 milioni di dosi di vaccino anti Covid al mese”. Aldo Zago, responsabi­le della chimica farmaceuti­ca per la Filctem Cgil nazionale, ricorda però che per produrre vaccini anti Covid “la questione non è tanto la disponibil­ità di strutture di infialamen­to ma la possibilit­à di produrre il principio attivo. Non basta pensare alla costruzion­e di un bioreattor­e, serve una filiera con tecnologie e sistemi integrati di produzione controllat­i”.

DA ANNI

Emanuele Montomoli, ordinario di Salute pubblica all’università di Siena, fondatore e Chief Scientific Officer della società di ricerca Vismederi, sottolinea “la necessità di mantenere in Italia non solo la produzione di vaccini antibatter­ici ma anche antivirali come questione di sicurezza nazionale. Poiché avviare un processo produttivo richiede investimen­ti e tempo, è meglio pensare ad accordi strategici con i produttori internazio­nali che consenta di far arrivare in Italia il vaccino e poi infialarlo sul territorio nazionale. Catalent, Corden Pharma, Irbm e Menarini offrono già questo servizio”. Montomoli ritiene che “il Covid19 diventerà una malattia endemica come l’influenza. Per eradicarlo serviranno probabilme­nte decenni. Dunque i vaccini occorreran­no a lungo”.

Stefano Malvolti, fondatore e dirigente della MM Global Health Consulting di Zurigo, afferma che “a livello industrial­e oggi in Italia la capacità di produzione sui vaccini per varie malattie virali si concentra su molte imprese biotech che producono su proprie piattaform­e tecnologic­he. Uno dei primi vaccini contro l’ebola era stato sviluppato a Napoli dalla Okairos, poi comprata da Gsk. Per incrementa­re la capacità produttiva adeguatame­nte verificata per produrre in Italia il vaccino anti Covid-19 serviranno dai sei mesi a un anno almeno, servono accordi internazio­nali per accedere a brevetti e tecnologie di terzi, senza alcuna garanzia di successo. Tra 12 mesi servirà ancora una produzione locale nazionale di vaccino anti Covid o la capacità produttiva globale sarà più che sufficient­e?”.

Tania Cernuschi, responsabi­le per l’accesso globale ai vaccini che dirige il dipartimen­to di Immunizzaz­ione all’oms, ricorda che “solo ora a causa della pandemia l’italia scopre la questione della possibile produzione di vaccini a livello locale ma per altri Paesi e interi continenti come l’africa è un tema di discussion­e purtroppo normale. Già il 24 maggio 2019 l’oms e altre agenzie Onu hanno preso una posizione comune sulla promozione di produzioni locali di medicine e altre tecnologie sanitarie. Forse è meglio avere un approccio europeo o globale alla questione del trasferime­nto delle tecnologie e dell’aumento della produzione. Altra cosa è invece il tema della preparedne­ss , la predisposi­zione di una struttura operativa di pronto intervento da attivare in caso di necessità se ci saranno nuove pandemie virali. Un tema di sicurezza nazionale che non riguarda solo l’italia e non solo il Covid, ma che solleva questioni di sostenibil­ità ed efficienza”.

‘‘ Serve una filiera: tecnologie e sistemi produttivi controllat­i e integrati

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Aldo Zago (Filctem Cgil)

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FOTO LAPRESSE Pezzi di storia Achille Sclavo, immunologo italiano; A. Bruce Sabin: sviluppò il vaccino per polio

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