Il Fatto Quotidiano

La tentazione di candidarsi a Roma

EXIT STRATEGY L’IPOTESI DI UN REGGENTE E LA CORSA A SINDACO DELLA CAPITALE

- WA. MA.

“Game over”, dicevano ieri sera gli uomini del segretario, a chi ipotizzava che le dimissioni di Zingaretti siano in realtà un gesto tattico, un modo per farsi reinvestir­e dall’assemblea e riprendere il controllo del Pd da leader indiscusso. Perché c’è una legge non scritta del Nazareno: nessuna tregua, nessun patto dura per più di qualche settimana, ma va avanti fino a far fuori il “capo” di turno. Il Presidente della Regione Lazio la conosce bene. Per questo prende forma, un giorno dopo l’altro, l’idea di candidarsi a sindaco di Roma. La via d’uscita che cercava da tempo e che diventa possibile con le elezioni fissate a ottobre. Resta da vedere se perseguirà questo obiettivo di fronte alle pressioni che da qui all’assemblea di metà marzo aumenteran­no. Goffredo Bettini e Dario Franceschi­ni, in primis, faranno di tutto per convincerl­o a rimanere. Non c’è un altro punto di equilibrio, almeno per ora. Perché anche Stefano Bonaccini, il presidente dell’emilia Romagna che accarezza l’idea di essere il suo successore, eletto da tutto il partito, deve vincere non poche resistenze. E comunque, i tempi non sono ancora maturi. Basterà l’ennesima crisi al buio della politica italiana degli ultimi mesi a convincere gli oppositori del segretario a rieleggerl­o? Da Base Riformista di Luca Lotti e Lorenzo Guerini ai Turchi di Matteo Orfini, sono ormai tanti gli oppositori del segretario, con tanto di nemici travestiti da amici. Perché questo dovrebbe fare l’assemblea, dove pure il quasi ex segretario ha la maggioranz­a. Certo, sarebbe una sfida sul filo, perché forse l’unica condizione accettabil­e per lui sarebbe un mandato pieno fino al 2023 e non un incarico a tempo, per traghettar­e il partito fino a dopo le Amministra­tive, come chiedono in tantissimi.

Di certo, Zingaretti ha battuto sul tempo chi voleva cuocerlo a fuoco lento. Se fosse una strategia, sarebbe forse l’unica vincente a questo punto della storia. Ma non lo è, almeno non fino in fondo, tanto che i big – furenti – sono pronti ad appellarsi al senso di responsabi­lità per convincerl­o a restare. Mentre Franceschi­ni sta cercando di convincere Guerini a far abbassare i toni ai suoi.

Ma il Campidogli­o sembra il vero desiderio di “Nicola”. E così, i dem hanno già iniziato a cercare di capire quale può essere il percorso senza di lui. Di certo, serve un traghettat­ore, un reggente, alla Maurizio Martina o Guglielmo Epifani. Si cerca un padre nobile, ma non ce n’è nemmeno uno adatto alla situazione. Né Walter Veltroni, né Romano Prodi, né tantomeno Massimo D’Alema, che sta in un altro partito. E allora, la ricerca si concentra su una donna.

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Campidogli­o Si voterà il 10 ottobre

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