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Amadeus sul calo di ascolti (meno undici punti rispetto all’anno scorso): “Il Paese è come se vivesse una guerra. Non è vero che tutti guardano la tv, quando sei arrabbiato non hai voglia”
La parola evento è come l’aggettivo mitico di De Gregori. Gli ascolti sono in netto calo (41,2, undici punti secchi meno dell’a nn o scorso) e dopo i giochetti social-digital (un festival mai visto così tanto su Raiplay, mai commentato così tanto su Twitter), si arriva al punto. Anzi, all’evento. “Il Festival è il più grande evento italiano che ci sia: lo fanno la sala stampa, le tv, le polemiche, le persone che arrivano a Sanremo, i cantanti, il pubblico, le signore in prima fila, i politici”, dice Amadeus. “Tutto questo diventa evento. Se non fosse un evento sarebbe un meraviglioso programma tv, ma non sarebbe il Festival. Noi cerchiamo di fare il miglior programma tv nelle nostre possibilità, ma è svuotato di tutte le sue parti fondamentali ed è un’altra cosa”. La domanda dunque è d’obbligo: perché non hanno pensato a costruire uno spettacolo diverso, che non si limitasse a essere una fotocopia in editio minor di quello dell’anno scorso in questo anno infernale?
Ieri sera è andata in onda la serata cover, che certamente farà guadagnare qualche punticino in più in termini di ascolti. La partenza con i Negramaro, omaggio alla meravigliosa 4/3/43 di Lucio Dalla con i Negramaro, e poi i grandi successi di Tenco, Rino Gaetano, Celentano, Battiato daranno un po’respiro al festival in affanno. Nostalgia canaglia, ma sempre utile.
DICONO: non si può fare un paragone negli ascolti perché l’anno scorso non c’era il campionato. Vero: ma il campionato si sovrappone al Festival per un’ora e mezza su cinque di programmazione. La platea televisiva di ieri e quella del 2020 sono sostanzialmente sovrapponibili (18 milioni e 175 mila persone un anno fa, 18 milioni e 17 mila mercoledì). Vale, e lo scriviamo senza compiacimento, il vecchio proverbio “chi è causa del suo mal” perché da dicembre (Natale in lockdown) si era capito che non saremmo usciti dall’emergenza in tempi brevi. E recriminare (le “accuse non hanno fatto bene al Festival”, sempre Amadeus) non serve. Gli organizzatori imputano (ma va?) l’umor nero del pubblico a casa alla situazione sanitaria, all’incertezza economica, alla povertà crescente. Dice ancora il direttore artistico, con un’ingenuità che non vogliamo creder fasulla: “Il Paese è come se vivesse una guerra. Non è vero che tutti guardano la tv, quando sei arrabbiato non hai voglia. Io vado a una festa e mi diverto se sono felice, non se ho un problema di lavoro. In questo contesto 10 milioni di persone che si sintonizzano sono commoventi”.
NESSUNO ha la bacchetta magica, ed è perfino ovvio dire che è difficile intercettare il pubblico perché è difficile immaginare di cosa ha voglia e bisogno in questo momento. Forse sarebbe stato più onesto ammetterlo. E ascrivere la mancanza di “connessione sentimentale” con il Paese al contesto è inutile e tardivo: sembra di sentire i politici che non perdono mai le elezioni. Amadeus continua a pensare che un pubblico di 500 medici sarebbe stato una soluzione ideale, e non si rende conto dell’effetto boomerang che avrebbe avuto: perché a Sanremo è tutto come prima, luccicante e divertente, mentre nelle case dei comuni mortali è tutto grigio?