Il Fatto Quotidiano

“Nella prigione Ik-2 rischi stupri e torture: Navalny è all’inferno”

Russia, l’ex manager di Yukos subì abusi nella stessa colonia penale dove è finito il dissidente

- Michela A.G. Iaccarino

“La Russia intera è una bolshaya kolo

nia, un’enorme colonia penale, che al suo interno contiene altre prigioni. Le carceri russe sono un Paese nel Paese, luoghi con leggi e regole a parte”. Lo dice al telefono, da Berlino, Vladimir

Pereverzin, autore di Ostaggio. Storia di un manager della Yukos, il libro di memorie in cui racconta di abusi e umiliazion­i subìte nelle celle del Cremlino.

Quando descrive la sua lunga detenzione lei non usa la parola prigionier­o, ma zalozhnik, ostaggio.

Perché è quello che sono stato per sette anni e due mesi. Gli ultimi due anni li ho scontati nell’ik-2, lo stesso penitenzia­rio in cui ora c’è Navalny, ma prima ho fatto il giro delle celle di quattro prigioni e tre diverse colonie penali nella regione di Vladimir. All’ik-2 c’è una linea diretta con l’amministra­zione presidenzi­ale, che un giorno contattò la direzione per informarsi su di me. Ora c’è Navalny e immagino che quel telefono squillerà ogni giorno.

Leggo dal suo libro: “I detenuti fanno scioperi della fame, si tagliano le vene, le arterie, la carotide, lo stomaco... vengono picchiati, torturati, costretti a confessare crimini che non hanno commesso”. Tra le mura della colonia lei ha trascorso giorni durissimi, notti disumane.

Vale una sola regola nelle prigioni russe: possono farti tutto quello che vogliono, sono zone fuori controllo da ogni potere, il capo di un penitenzia­rio può fare tutto ciò che gli passa per la testa. In Germania, dove ora vivo, tutte le prigioni del Paese funzionano in maniera uguale perché in ognuna vige la stessa legge di Stato. Gli europei non lo immaginano: i penitenzia­ri russi funzionano non secondo uno standard unico, ognuno ha una vita a sé e il livello di sopravvive­nza dei prigionier­i dipende solo dalla volontà del capo e dal suo circolo. Possono ucciderti, stuprarti, picchiarti, torturarti, farti confessare cose

mai commesse, aumentare la tua pena: tutto questo anche senza motivo.

Lei ha rifiutato ogni giorno di testimonia­re contro i vertici della Yukos, poi è stato il primo manager della compagnia a essere rilasciato nel febbraio 2012. Nel libro racconta di come gli addetti alle pulizie accorresse­ro a guardarla sbalorditi: “Non potevano credere che il ‘complice di

Khodorkovs­ky ’ pulisse i pavimenti”.

Sono stato condannato con prove false dopo un processo ingiusto, tutto quello che potevo raccontare riguardava il mio lavoro, non sono stato mai testimone di crimini e delitti che volevano confessass­i. Se rientrassi in Russia, ancora oggi, potrei essere arrestato senza motivo o per le mie posizioni: mi manca Mosca dove sono nato, ma in prigione non ci torno.

Come finirà il caso Navalny?

La sua condanna attuale è di due anni e mezzo, penso che resterà in carcere per almeno cinque. Parlo per esperienza: sanno sempre come aggravare le sentenze con pene aggiuntive. Finché il circolo di Putin rimarrà in carica, Navalny rimarrà nel posto dove è ora. Come me e altri ha subito un processo ingiusto: i giudici non sono indipenden­ti, eseguono ciò che il gabinetto presidenzi­ale e l’fsb decidono. Cekisti vce ruljat, gli uomini dei servizi controllan­o

tutto, è un gruppo criminale che può fare ciò che vuole.

Migliaia di persone sono finite in galera quando hanno protestato contro l’arresto di Navalny.

In piazza per lui c’erano prima 5.000, poi 50mila persone, ma non 500mila. In Russia il cambiament­o dipende solo dalla crisi economica: è un Paese ricchissim­o, ma abitato da poverissim­i, che ora si governano facilmente. Ho paura che prima o poi l’economia stagnante istigherà radicali e nazionalis­ti contro la polizia e parlo di un’opposizion­e brutale, non di quella di studenti e insegnanti, che sostengono Navalny e non usano violenza.

In solidariet­à al dissidente, Stati Uniti e Unione europea hanno emesso san

zioni.

Le faccio un esempio: da tempo vivo in Germania, dove sono attivi molti businessme­n

russi, uomini da centinaia di milioni di dollari. Se le sanzioni occidental­i avessero voluto essere efficaci, avrebbero dovuto colpire questo tipo di tyco on, non qualche procurator­e o capo dello staff russo a cui ora è impedito di entrare in Europa: non ci sarebbero comunque mai venuti, loro in vacanza vanno in Crimea.

Dopo quegli anni da detenuto come vive adesso?

Almeno una volta alla settimana, per gli incubi, mi sveglio urlando di notte. Sono fuori dalla prigione, ma non me ne sono mai liberato.

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FOTO ANSA/LAPRESSE Tutti dentro Aleksej Navalny; l’arresto di suoi sostenitor­i. In basso, il presidente Putin a una parata
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